Chi segue gli Einstürzende Neubauten con assiduità sa bene che il percorso artistico dell’ensemble tedesco si dirama dal 1980 verso sentieri sempre diversi, a volte indecifrabili, che richiedono performance tanto istintive quanto ragionate: una vera e propria amalgama di cuore, muscoli e cervello. Come previsto, non sfugge a questa “golden rule” nemmeno il concerto di Bologna.
Ad accogliere il quintetto berlinese c’è la sala piena; fan di vecchia e nuova data hanno permesso al Manzoni di dichiarare il tutto esaurito a poche settimane dall’evento e le aspettative, questa volta, sono parecchio alte. Sì, perché “Lament”, l’ultimo lavoro in studio, non è un semplice album. I Neubauten hanno confezionato un’opera ambiziosa, altisonante e ciclopica, diversa da qualsiasi altra cosa abbiano mai rilasciato in passato: un “concept” sulla Prima Guerra Mondiale che analizza gli aspetti più profondi e umani del caso, celando un lavoro di ricerca certosino che rende “Lament” non solo uno degli album più belli del 2014 ma, soprattutto, uno dei dischi più importanti dell’intera carriera del gruppo.
Mentre i Nostri fanno il proprio ingresso sul palco (accompagnati da un quartetto d’archi d’eccezione), le luci non accennano ad affievolirsi, anzi, privano la platea del confortevole buio di rito, esponendoci indifesi ai rumori massacranti di “Kriegsmaschinerie” e ai cartelli ammonitori esibiti da Blixa Bargeld. Su ogni cartello campeggia una frase diversa e ognuna evidenzia il frastuono metallico in tempi ben calcolati (“War does not break out and it is never caught or chained/It moves…”). Non una parola, solo caos: mentre Alexander Hacke e Andrew Chudy (alias N.U. Unruh) percuotono lamiere e catene con furia indicibile, Blixa sfida silente il pubblico a concentrarsi sulle frasi che mostra ed è come se la guerra acquisisca un suono, una voce, per chi non l’ha mai davvero vissuta. “War does not break out. It waits…” e quella che è la colonna sonora ideale dell’apocalisse lentamente si spegne.
È uno spettacolo corale sotto tutti i punti di vista e non c’è dubbio che “Lament” sia stato studiato appositamente per la resa dal vivo. Ogni dettaglio, curato in maniera maniacale, risalta solo stasera, davanti ai nostri occhi e, nella fattispecie, ci cattura la performance di “Der 1.Weltkrieg”. Il tema verte attorno alla percussione di una serie di tubi di plastica, ognuno dei quali rappresenta una potenza coloniale, che cominciano ad essere suonati dal momento in cui il Paese corrispondente è entrato in guerra. Ogni giorno coincide con un accento di una battuta in 4/4, per un totale di 392 battute a 90 battiti al minuto, il risultato? Diciassette minuti di ritmo tribale e penetrante, inarrestabile, mentre Blixa scandisce con consueta austerità il passare degli anni e due voci femminili (registrate) annunciano i nomi di tutte le colonie partecipanti.
Non mancano episodi più immediati che, astutamente, vengono alternati a quelli più dilatati ed “ostici”: “The Willy – Nicky Telegrams” è un duetto godibilissimo tra lo Zar Nicola II (Hacke) e il Kaiser Guglielmo (Blixa) che, in un intreccio di voci telegrafiche e suoni sintetici, annuncia lo scoppio del conflitto. “On Patrol in No Man’s Land”, d’altra parte, è un omaggio agli “Harlem Hellfighters”, gruppo ragtime-jazz formato dai soldati statunitensi del 369esimo regimento di fanteria. In un vortice di riferimenti culturali, di atmosfere eteree (la suite in tre parti “Lament”), di lingue (“In de Loopgraf” vede Blixa alle prese con il Fiammingo) e di evocazioni (il delicatissimo e rispettoso tributo a Marlene Dietricht in “Sag mir wo die Blumen sind”), c’è spazio anche per due passi leggermente più “datati”. “Let’s Do It a Dada” e “Ich Gehe Jetzt” sono gli unici pezzi del repertorio che vengono chiamati in causa dal passato del gruppo: entrambi, a detta di Blixa, risultano coerenti col tema di “Lament” e, a conti fatti, non spezzano la magia che si è venuta a creare in teatro. È affascinante come i feedback di Jochen Arbeit e i compressori di Rudolf Moser interagiscano con il quartetto d’archi con così grande naturalezza ed è incredibile come l’immutata attitudine animalesca di Alexander Hacke si faccia controparte ideale della glaciale eleganza di Blixa. In questo gioco continuo di indagine e spettacolo, gli applausi a scena aperta non si fanno attendere.
Se molti si mostravano dubbiosi sulla scelta degli Einstürzende Neubauten di riproporre sulle scene un’opera tanto ambiziosa quanto complessa, a fine concerto devono capitolare dinanzi all’impatto dell’operazione. Nessuna parola spesa renderà davvero giustizia al susseguirsi di coup de théâtre cui abbiamo assistito questa sera ed è anche giusto così. Se il “Three Decades Tour” ha rappresentato la meritata celebrazione di una lunga e prolifica carriera, il tour di “Lament” è la consacrazione ultima degli Einstürzende Neubauten come artisti, giganti irraggiungibili dell’Europa sperimentale. Lunga, lunghissima vita.
Setlist:
1. Kriegsmaschinerie
2. Hymnen
3. The Willy – Nicky Telegrams
4. In de Loopgraf
5. Der 1.Weltkrieg
6. Achterland
7. Armenia 3
8. On Patrol in No Man’s Land
9. Lament: 1. Lament
10. Lament: 2. Abwärtsspirale
11. Lament: 3. Pater Pecavi
12. How Did I Die?
Encore 1:
13. Sag mir wo die Blumen sind
14. Let’s Do It a Dada
15. All of No Man’s Land Is Ours
Encore 2:
16. Ich Gehe Jetzt