La placida quotidianità di un villaggio coreano è turbata da una serie di omicidi, cruenti e inspiegabili; una strana epidemia sembra infatti stia facendo impazzire alcuni abitanti trasformandoli in bestie omicide e la piccola comunità rurale piomba nel caos e nel terrore. La presenza di un misterioso anziano giapponese che abita tra i boschi attira l’attenzione degli abitanti del villaggio, tra sospetti, illazioni e superstizioni. Inizialmente i terribili eventi sono attribuiti agli effetti devastanti di funghi allucinogeni, ma ben presto la confusione e la paura prenderanno il sopravvento. Di fronte all’incompetenza della polizia locale, incapace di trovare l’assassino o di fornire una spiegazione sensata, alcuni abitanti chiedono aiuto a uno sciamano…
Si apre con un versetto tratto dal Vangelo secondo Luca, The Wailing, con cui il Cristo risorto affronta lo scetticismo dei suoi apostoli: “Toccatemi e guardate; uno spirito non ha carne e ossa come vedete che io ho.” E da qui abbiamo già un un’idea di quello a cui stiamo per assistere, la rappresentazione del dubbio e della confusione di fronte all’inspiegabile. Le colpe degli uomini messe a nudo e punite crudelmente. Ma è possibile dire ancora qualcosa di nuovo sul Male, sul Diavolo e sulla sua figura? Pare proprio di sì.
Presentato fuori concorso al Festival di Cannes, il nuovo gioiello di Na Hong-jin, The Wailing (in originale Goksung, come il nome del villaggio teatro dei delitti), ha un’anima oscura e pregna di suspence, capace di provocare intensa inquietudine e di spaccarti il cuore in mille pezzi. E’ un thriller misterico e suggestivo che, senza utilizzare “jump scares” o facili trucchi, riesce a sprofondare nell’horror più nero, fotogramma dopo fotogramma, minuto dopo minuto. E dei 156 minuti di questa stupefacente pellicola non viene sprecato nemmeno un secondo. Assistiamo alle indagini di una polizia al solito incompetente e inadeguata (tratto comune nel cinema coreano), per poi passare al drama più intenso e commovente, di quelli che ti squassano dall’interno, fino ad arrivare all’incubo horror.
Dopo gli eccellenti The Chaser e soprattutto The Yellow Sea, thriller noir di qualità elevatissima, Na Hong-jin alza il tiro e realizza un film quasi perfetto dove la tensione è alle stelle e le percezioni dei protagonisti sullo schermo sono talmente palpabili che è impossibile non venirne travolti. Non c’è un attimo di tregua, e il regista è abilissimo nel mescolare le carte più volte, confonderci e sconvolgerci senza pietà, così come lo sono i personaggi del film. Sorretto da una regia sopraffina e sicura, da una sceneggiatura solida, da una fotografia plumbea magnetica e da un contorno sonoro efficace nei momenti chiave, ma mai invadente; The Wailing è un delirio amaro, ipnotico e agghiacciante, in cui ogni scena (per la maggior parte sotto una pioggia incessante) sembra un quadro, terribile e angosciante, quasi un urlo straziante come quelli dei suoi disperati personaggi.
Alla terza prova da regista e sceneggiatore, ben sei anni dopo The Yellow Sea, il talentuoso Na Hong-jin parte dall’archetipo del thriller sudcoreano, l’imprescindibile Memories of Murder di Bong Joon-ho (2003) e fa centro senza dubbio alcuno. Con sapienza ed eleganza combina il poliziesco al drama (senza rinunciare a qualche sorriso, grazie alla figura del protagonista, nella prima parte), il thriller e l’horror, inserendo alcune terrificanti scene ad alto tasso di gore (gli effetti speciali sono ottimi) da cui è impossibile non uscire senza fiato, e riuscendo anche a rendere sullo schermo con grandissima potenza e impatto visivo un rito sciamanico – che inizialmente ha del grottesco – con tanto di caproni sgozzati.
Grande merito inoltre va al comparto attoriale, dall’ottimo protagonista interpretato dal caratterista Kwak Do-won (già visto in The Man from Nowhere), vero e proprio alter-ego dello spettatore, alla piccola e intensa Kim Hwan-hee, dalla eterea e bellissima “donna in bianco” Woo-hee Chun all’inquietante “giapponese” Jun Kunimura (Kill Bill vol. 1 e 2, Outrage, Why Don’t You Play In Hell?), che sfodera qui una performance davvero spettacolare, misurata e tutta giocata di sottrazione. Senza dimenticare lo sciamano Hwang Jung-min, figura cardine ed emblematica allo stesso tempo.
Il livello di The Wailing sfiora decisamente il capolavoro e senza timore si può parlare di una pellicola eccelsa, paragonabile per qualità al gotha del cinema coreano, vale a dire I Saw the Devil (Kim Jee-woon, 2010), The Host (Bong Joon-ho, 2006), Bedevilled (Jang Cheol-soo, 2010) e The Yellow Sea (quest’ultimo dello stesso Na Hong-jin, del 2010). Poi chiaramente subentrano i gusti personali, ma comunque siamo nell’Olimpo. Era dai tempi de L’esorcista che non si vedeva qualcosa di originale e diverso dai soliti stereotipi sul genere possessioni.
L’horror “definitivo”, che si candida con autorevolezza ad essere il film dell’anno.