Per chi non vive quest’area culturale, quella dell’entroterra tarantino, per quanto agli orrori di cronaca (il caso delle due violenze fin qui raccontate su disabili a Manduria, il cui Comune è da anni commissariato per Mafia, l’ILVA, le discariche abusive, tra i tanti fatti), è difficile capire, perché il luogo comune secondo il quale ogni provincia o periferia ha tratti identici, è cosa più falsa e comodamente ipocrita immaginabile.
Ognuna realtà ha caratteristiche a sé, pur con oggettive eccezioni.
Qui, astenia e livore sono la doppia faccia della medaglia di un humus dove lavoro è agricoltura (“campagna” si dice qui) non intesa in un’accezione industriale e morte nell’industria o per causa sua. Perché dal 21 ottobre 1964, data di nascita dell’ex Italsider, poi ILVA, Taranto è città in ostaggio del suo perverso seminato, che in molti, quasi tutti, continuano a vedere come l’unica realtà mai stata possibile e l’unica futura, assieme alla Marina e l’esercito, dacché Taranto è città militare per eccellenza in Italia, dal 1865. In rari centri persiste un artigianato prezioso, a mantenere tradizioni familiari relative al lavoro della ceramica e della cartapesta, ma anche del filo d’oro a telaio, nel settore tessile, con Gabriele Cosma Baldari ad Avetrana (altro piccolo centro marchiato da cruente memorie). Interessante il fenomeno crescente dei liutai, Fabrizio Trono a Sava, con la magnifica Liuteria Storm, Mauro Corvaglia a Lizzano con la McLiuter. Pochi i poli dove il commercio è ben radicato. Persino la città capoluogo, ha l’aspetto di un paesotto mal vestito, con vecchi edifici logori e decadenti, qualcuno segnalato con pericolo di crollo, ma occupato abusivamente, a due passi dall’Arsenale e dunque, in pieno centro.
Una città che pur vanta il MarTA, Museo Archeologico della Magna Grecia tra i più belli al mondo, ad esistere nonostante il “lavoro occulto” dei tombaroli che ha portato nelle case di gente comune (ma esposti in bella vista in studi di medici e avvocati, l’oro invece viene fuso e venduto) reperti di ogni sorta e a distruggerne a migliaia, pure ad opera dei coltivatori che altrimenti si sarebbero visti confiscati terre dalla Soprintendenza ai Beni Culturali.
Ma del resto, neanche il vice ministro Di Maio è a conoscenza del Museo. In una sua intervista a Cartabianca su Raitre 3, lo scorso Settembre, il politico ha affermato “Taranto “è l’area con i reperti archeologici più grande di tutta la Magna Grecia e non ha musei degni di quell’area”.
Eppure tra i giovani non è la cultura “storica/artigianale/manifatturiera” il principale interesse.
Le droghe, a basso costo tutte (la quantità di rave party organizzati in zona ha davvero dell’impressionante) e l’alcool tra i 13 e oltre i 60 anni sono modalità non solo d’evasione, ma d’integrazione sociale (da “figli ed ex figli della strada”, oggi Far West sui social) e la musica tra le arti è la prediletta.
Un posto dove la follia può essere una via di fuga e la peggiore delle gabbie, perché quando Alda Merini scrisse di manicomi, parlava del reparto di neuropsichiatria dell’Ospedale Civile di Taranto e ne scriveva così, in “La Terra Santa”:
Fummo lavati e sepolti
odoravamo di incenso.
e dopo, quando amavamo,
ci facevano gli elettroshock
perché, dicevano,
un pazzo non deve amare nessuno.
Lo faceva, lasciando che quei versi alle musiche di Giovanni Nuti fossero associati.
E la musica a Taranto?
Da 40 anni in qua, è essa post-punk e o comunque legata al fenomeno “new wave”, con in prima linea i veterani Panama Studios (pure a loro tempo fondatori dell’Associazione culturale “Voltage Control”), Central Unit, The Act, i Vena, la rivista Mackina Metropolitana, i Volo Notturno (anni ’90), negli ultimi anni i Karma in Auge, i Nero Moderno, gli Zeitmaschine, ma davvero i nomi sono tantissimi, non a caso, a Manduria vive oggi Piero Arnò che fu parte del collettivo noto come “The Great Complotto” e da leggere sono il libro di Giuseppe Basile e Marcello Nitti “80 New Sound – New Wave”, che dell’epopea oscura in zona, anche parla e “Taranto new wave. Dalla byte generation al Great Complotto” di Sergio Maglio (chi era a conoscenza del fatto che “The Beach” dei New Order e “Cities in the Dust” di Siouxie & The Banshees, proprio da suggestioni tarantine nacquero?).
A Taranto si esibirono tutte le grandi band della nuova scena dell’epoca (e il Medimex lo scorso anno ha visto pure in prima linea i Kraftwerk in uno show memorabile. Quest’anno Clock DVA, Patti Smith e gli Editors) e con grande riscontro di pubblico, eccezion fatta che per gli Ultravox di Midge Ure, apertamente fischiati (ero bambino ma c’ero), perché “non suonavano” e la cosa fece scalpore, abituati come si era a vedere le dita muoversi su strumenti e non a manovrare manopole.
I Panama Studios in concerto nel 1983 in Villa Peripato, a Taranto:
Appena qualche nome in zona relativo alla scena progressive e psichedelica tra gli anni ’70 e ’90 (nonostante l’amore di qualche radio locale per Genesis e Pink Floyd, la storica PrimaVeraRadio su tutte e nonostante qui viva Richard Sinclair a riproporre a suo modo il lascito dei Caravan), ma ben poca cosa davvero, considerando l’attenzione per il verbo “scuro” e “oscuro”, cosa che non sorprende visto che fino ai tardi anni ’80 è sopravvissuto il fenomeno del tarantismo per le strade e fino alla soglia del 2000 la quantità di maghi (bianchi e “neri”), visionari, taumaturghi era pubblicizzata su muri alla pari di un prodotto di commercio qualsiasi, pure in risposta alla fusione tra sentimento religioso e paganesimo presente nei celebri e crudi riti della Settimana Santa. Tuttora persiste una discreta presenza di sette sataniche e molti sono i custodi di segreti “dell’occulto”.
In città è la musica neo-melodica napoletana ad essere radicatissima e la più sentita in assoluto, ad ogni fascia d’età, anche e soprattutto adolescenziale, dove acquista un valore identitario “di protesta” pari e più (qui) all’hip-pop/rap/trap, basta ascoltare ciò che proviene da rumorosi impianti stereo delle auto e da telefonini usati come radioline, sui mezzi di trasporto pubblico (Ferrovie del Sud Est, AMAT e CTP/Cotrap), impiegati principalmente da giovanissimi, lavoratori dell’ILVA e tanta gente in condizioni di disagio sociale, che l’auto non ce l’ha.
Una città dove il Conservatorio rischia di chiudere da anni, ma che pure da anni, non disdegna iniziative culturali di spessore. Appena oggi, una Masterclass gratuita su flamenco per chitarra e voce, anche ad esplorare modalità mediorientali. Eppure, in questa istituzione e in tutte le scuole di musica in zona, pubbliche come private, latita ed è osteggiato apertamente l’interesse per la contemporaneità nella musica classica, cosa imbarazzante, pensando che in Europa tutta si investono soldi per far cantare la Terza Sinfonia di Gorecki a Beth Gibbons dei Portishead, su direzione di Penderecki e con esiti non meno che memorabili ma che Luca Francesconi, italiano, debba farsi commissionare il suo “Trompe-la-Mort” dall’Opera di Parigi e che Fausto Romitelli sia stato edito su disco principalmente da Cypres e Tzadik, non certo etichette italiane. Vergogna. Si fa eccezione qui come altrove, per fenomeni new age legati a logiche commerciali e difatti dagli stessi musicisti classici visti senza interesse autentico, ma sola “devozione economica”, quali Allevi e Einaudi e soundtrack assortite ascrivibile a Nuova Consonanza. Per il resto, è il solito, orrendo capitolo italiota dal titolo “900, un secolo di musica buttato in una discarica, abusiva” (mi propongo in qualità di autore), se non per rarissime iniziative in materia, come la frequente proposizione, si, proprio a Taranto, della “Threepenny Opera” di Weill/Brecht, cosa rara in un’Europa che ai due autori tributa solo censura.
Da qualche anno c’è un’attenzione crescente nei riguardi dell’urlo grunge e del fenomeno stoner; in passato c’è stata una scena avant-metal (ma il metal tutto si sa, è fenomeno che dovesse cascare il mondo, continuerà ad essere), comunque in direzione black e dunque cupa; il jazz e il blues, sono legge ma solo nell’accezione più antica e tradizionale e come tale, tendenzialmente e salvo rare eccezioni, fanno salotto o “tappezzeria” ad una buona bevuta (il motto comune è “ascolto la musica che conosco”, un’affermazione in voga davvero raccapricciante, spesso accompagnata a “non si può cambiare il mondo”).
Una terra, quella del vino Primitivo (ma anche della birra artigianale prodotta in loco, dal birrificio Daniel’s ad esempio, a far da contraltare alla fabbrica Heineken e alla istituzionale birra Raffo, oggi prodotta a Roma per Peroni) e del culto del buon cibo (povero, ma buono), che pur d’estate s’accende (oltre che nella giornata del Primo Maggio, giorno dell’ormai istituzionalizzato e pure più in vista di quello romano, “concertone”), complice il rientro di tutta la gente che per cambiar vita è andata a vivere lontano e solo da qualche anno, grazie pure a qualche sparuto turista a frequentare il litorale jonico. Campomarino (noto anche per la presenza dell’unica spiaggia naturista ma “non ufficiale” nel raggio di moltissimi chilometri) e l’affollatissima Frescheria Jamaica, la spiaggia del fiume Chidro a San Pietro in Bevagna, in particolare, unici poli autentici dopo un incendio doloso del complesso turistico Fatamorgana, che ne ha segnato tristemente le sorti.
Non si fanno 500 metri a piedi neanche per fare la spesa, non si usano biciclette, solo automobili e scooter (in città non è in uso portare il casco).
L’alterità qui è guardata con sospetto, se urlata o spaurita viene attaccata senza mezzi termini e in modo subdolo. Nessuno vuole essere “il soggetto” del luogo, dove per soggetto si intende “fogna di insulti, violenze fisiche e sessuali”, legittimate da una legge di strada da tutti difesa, giovani e vecchi (ne sa qualcosa il presidente dell’ARCIgay di Taranto, Luigi Pignatelli, da anni oggetto di violenze, da tutti – omosessuali in primo luogo – negate, ma reali, visto che chi scrive questo articolo è stato testimone e pur coinvolto in una di esse e deposizione in materia ha lasciato presso la Questura). L’omertà come forma di auto-difesa è quasi “esercizio di stile”. La musica è modalità di integrazione, di stima (laddove benvenuta nell’essere “genere” ben accetto e identificabile) e trasforma “nerd” in “leader” e piccoli eroi di gruppi giovanili locali (qui finché si è figli senza famiglia a carico si rimane “ragazzi”), negli incontri nei bar di paese, nei pub, nelle osterie, negli antichi ghetti ebraici (a Manduria il più bello, con l’imponente e magnifica Chiesa Matrice, raro esempio di commistione di elementi romanici, gotici e barocco/catalani), le piazze e i vicoli delle stupende Grottaglie e Massafra (con un Teatro Comunale dalla programmazione più unica che rara) .
Una terra appannaggio e storicamente delle destre tutte (ex “eroe” locale Giancarlo Cito, fondatore della Lega d’Azione Meridionale, pure titolare a suo tempo di una sua rete televisiva, Antenna 6 e dichiaratamente fascista, non solo d’ammissione, ma d’azione a chiudere a manganellate centri sociali e ARCI), ma tutt’oggi abitata da hypsters di una vitalità incredibile, autentici agitatori culturali di ieri e oggi e del resto, l’accoglienza a suon di fischi riservata a Matteo Salvini in occasione dei suoi recentissimi comizi pugliesi, mostrano che qualcosa sta cambiando.
Non solo, Taranto è anche terra in cui persistono nostalgie neo-borboniche ampiamente documentate sul sito del movimento stesso.
Poi, ci sono anche realtà che ricavano spazi mentali e vitali per chi vivo vuole rimanere o divenire, da passatismi in primis, penso alla Pelagonia Music (che pure di tanto teatro è promotrice grazie alla figura importante di Giorgio Consoli, in musica leader dei Leitmotiv oltre che didatta di teatro tra i più apprezzati, assieme a Giovanni di Lonardo), alla Cooperativa teatrale Crest, al Teatro Tatà, all’Associazione culturale “Cittadini lavoratori liberi e pensanti”, alla Cooperativa Robert Owen, al jazz club Quattro Venti (pure dalla programmazione variegata e che storicamente ha accolto nel jazz, il meglio del verbo afro-americano e non poco di quello mondiale in centinaia di personalità), all’enoteca e pure Jazz Club “Per…Bacco”, le tantissime Associazioni Culturali chiamate a compiere sforzi a dir poco eroici (e spesso a dover chiudere, causa avversità di ogni sorta), tra le realtà a voler dare spazio, luce e vigore all’espressione tutta (o quasi).
Una terra che pure ha dato natali a musicisti puramente “avant” come Valerio Cosi, Fabio Orsi, alcuni responsabili della Minus Habens (label devota al verbo elettronico evoluto), di stanza a Bari ma che qui abitano e… spostandosi, fino alla provincia più “barese d’ascendenza” al poliedrico talento di Camillo Pace, ad esempio… perché qui l’arte è davvero esigenza culturale che ha natura ascetica e anche legata “al sacro mestiere”, stesse componenti che venivano promosse, anche economicamente, dalle famiglie nobili che abitavano i castelli e i palazzi dei piccoli centri.