Prima di iniziare la recensione di questo oscuro gruppo proveniente dal sottobosco russo è¨ necessario fare una premessa :è¨ sicuramente stato difficile dare un parere imparziale quando il genere che si sta ascoltando non è¨ particolarmente di proprio gradimento ma nonostante questo proverò lo stesso a descrivervi le impervie sonoritè degli Urwald. In questo platter, dal titolo impronunciabile, si mescolano tracce legate a sonoritè dedite alla natura (vedi di fatti la traduzione dal tedesco urwald che significa giungla), molto melodiche e ipnotiche, a tracce piùmovimentate e propriamente suonate. Un disco dalle sonoritè molto particolari che potrebbero assumere caratteri impervi ed incomprensibili a causa dell’incredibile varietè di suoni espressi. La musica , che si muove silente nei mondi musicali di un’ambient a tinte oscure e di un folk pagano a tratti ancestrale presenta clichè¨ sonori eclettici e quasi mai stabili creando , piuttosto spesso , fantomatiche orgie sonore di difficile traduzione. La qualitè delle tracce e della registrazione a mio parere lascia molto a desiderare. Il caos creato dagli Urwald devastano e divorano tutto ciò che trovano. La totale assenza di un filo conduttore e la luce fioca dei toni dimessi non aiutano di certo l’ascoltatore che si trova disperso in un labirinto di rovi musicali dove le tracce ,troppo spesso ,vengono interrotte improvvisamente per poi ripartire alla successiva senza alcun collegamento. L’atmosfera è¨ ridotta all’osso basata sull’iterazione di pochi e semplici riff di chitarra sospesi ed inghiottiti da un’ascesa isolazionista a tratti assordante.
La voce del singer appare come un fantasma rinchiuso da invisibili sbarre. La sua angoscia si muove alla ricerca di una fioca luce sulle esili composizioni ed in un dannato tentativo di enfatizzare il contrasto con la perversa malinconia espressa dagli Urwald restando intrappolato nell’immobilitè ed in una cupezza dai caratteri opprimenti. Le ombre di questo inconcepibile lavoro prendono il sopravvento graffiando e strozzando le giè flebili luci. La qualitè sonora del disco si pone in uno sconcertato fatalismo. Spettri sonori supportati malamente da una decadente costruzione armonica fanno cadere anche la colonna portante , ovvero quella di un folk pagano incurante che fatica a scorrere limpido e fatica soprattutto a legarsi con le pessime distorsioni ambientali.
Un disco che non riesce a regalarci profumi di sottobosco e che sembra destinata a restare chiusa nelle industriali soffitte russe. Anche le poche e frammentarie notizie che ci arrivano dagli Urwald non ci permettono di scavare i tumuli sonori di questo gruppo che sogna di schiantare la luce ma che viene inesorabilmente inchiodato nelle grigie dannate cornici dell’anonimato.
Anakhai89
Urwald – По лесным Просторам