Le parole che anticipavano l’uscita di Hell Money erano di sorpresa, cosa aveva in serbo per noi Jerome a questo giro, cosa dovevamo realmente aspettarci? Ad ogni nuovo disco la creatura Rome genera sempre più “rumore”, diventa sempre più difficile riuscire a mantenere aspettative che si ingrossano di volta in volta come il generarsi dell’alta marea. Per chi scrive la discografia dei Rome è perfetta, quest’uomo sembra essere in grado di scrivere musica di una qualità superiore usando metà tempo di un artista “normale”. Quanto durerà questo stato di grazia iniziato dalla prima release e proseguito con una costanza maniacale sino ad oggi?
Hell Money è molto semplicemente l’ennesima dimostrazione di classe innata, il disco è allo stesso tempo una novità e la garanzia di uno stampo ormai subito riconoscibile. Di musica intensa e particolare ne è piena zeppa la discografia in questione, ma questo nuovo disco in qualche modo riesce ad essere il più “caldo” ed intimo, diretto e poco complicato forse ma anche quello che necessita più ascolti per essere fagocitato a dovere. E’ racchiusa proprio qui la magia a questo turno, le canzoni sono ermetiche, pungenti e “in your face” ma stranamente richiedono una gestazione particolare. Il disco è vibrante, mentre la registrazione cristallina è un ulteriore dono di questa produzione per la quale non è difficile intuire il potenziale live.
La voce penetra, scortica e culla e trova casa dentro di noi in maniera naturale. Sono spigolose alcune parti, a volte sembra di essere spaesati e smarriti e si perde quasi la bussola, si smette di pensare a quale canzone si sta ascoltando e si prende Hell Money come un unico, intenso brano.
Si passa dalla esagitata “Fester” allo splendore di “This Silver Coil” (nel reparto nuovi cavalli di battaglia), tetra e serpeggiante “Rough Magic” mentre si resta in trance durante l’esibizione di bravura proposta nelle varie “Among The Wild Boys”, “Amsterdam, The Clearing” , “Silverstream” e “Tightrope Walker (Wild Milk)”. “Pornero” risveglia i sensi mentre “Golden Boy” dimostra l’immane grandiosità creativa dei Rome (così intensa da scorticare e un finale che zittisce ogni cosa).
Il soffice piano di “Red-Bait” ara il terreno per il gran finale con “The Demon Me (Come Clean)”, e quando il Reuter sceglie di bloccarci seduta stante state pur certi che ci riesce senza il minimo affanno (grazie ancora una volta).
Non mi importa fare paragoni con gli album passati, questo è un altro grande disco, un disco che probabilmente verrà giudicato male inizialmente e che vivrà di seconda giovinezza in un prossimo futuro. Tutta questione di come si percepisce la musica e su come la si giudica, agli eventuali detrattori posso dire solamente “aspettate”.
Nothing,Never,Nowhere
Neofolk
2012
Rome