È un piccolo gioiello la nuova compilation curata dal collettivo Stramonium, appositamente creata per celebrare il solstizio d’inverno. Una raccolta di brani che, più che canzoni, si fanno rituale ultimo di una tradizione da tempo perduta nelle pieghe del vivere moderno: richiami ancestrali ed estremamente spirituali risuonano, in modi sempre personali, nelle quindici tracce di questo percorso dal sapore epico e mitologico.
È quasi un ossimoro che un progetto come quello di Where the Winter Beats Incessant sia disponibile per il download: ci si aspetterebbe piuttosto di sentirlo riecheggiare tra i rami di qualche fitta foresta del Nord Europa. Sì, perché quel che fa questa raccolta è trasportare l’ascoltatore in una dimensione antica, in bilico tra oscure pulsioni e suggestioni neoclassiche.
Si passa, dunque, dalla ghironda dei Sangre de Muerdago ai lamenti grevi e minacciosi (ancora di più se si realizza che sono stati registrati dal vivo) degli Àrnica e se entrambi i gruppi sono spagnoli (rispettivamente galleghi e iberici), il contrasto risulta evidente ed estremamente riuscito. Ottima prova quella di VRNA, moniker dietro il quale si cela la ricerca sonora di Gianluca Martucci, che restituisce con Ophis un canto arcaico e sognante, dapprima dolcemente scandito da note di basso e poi opportunamente “sporcato” da dilatate distorsioni. Si torna ad atmosfere decisamente più folk con :novemthree: e Tamerlan: Óðinn è una bellissima invocazione al più sapiente degli dèi norreni, mentre Where No Man Walked Before è una danza strumentale dal sapore neoclassico che prepara al più ancestrale omaggio della collezione. Il dono dell’albero, firmato dai Murmur Mori, oltre a contenere i suoni del vento, del torrente e delle marmotte registrate presso il Cromlech del Piccolo San Bernardo, è un’ode commovente all’albero e alla sua essenza, dove la natura è in primissimo piano e la voce diventa un richiamo lontanissimo, etereo. Un melodioso episodio prima dell’inquietante ambient di Ruairi O’Baoighill e del folk noir dei Nebelung, che pescano Mittwinter direttamente dal loro album Palingenesis, dato alle stampe nel 2014.
Decisamente in terreni dark ambient il contributo di Emme Ya e Treha Sektori, che confezionano forse i brani più oscuri dell’intera compilation: rituali drone ridondanti e opprimenti avviluppano il fruitore prima di abbandonarlo alla poderosa marcia di Idre, che presta Witch Trial alla causa. Più elettronici i veneziani qqq∅qqq che con Cosmic Ritual portano l’album in meandri inesplorati. Un valore aggiunto, il loro viaggio plastico, perché allontana il leitmotiv della compilation dalla natura verso spazi siderali e decisamente ipnotici. Ascoltando Hybryds e Yurugu’s Speech, d’altro canto, si ha la definitiva conferma che sia stata decisione ponderata quella di dedicare alla seconda metà dell’album le suggestioni più sintetiche, come se da suoni “terreni” si passasse alla musica dell’universo, come se si cercasse di restituire, insomma, il suono ultimo della trascendenza. A sigillare la raccolta, infatti, c’è un brano di ASHORETH e sembra quasi di percepire il rumore che produrrebbero i corpi celesti quando ruotano su se stessi.
Una bella occasione per riscoprire tradizioni e nuove soprannaturali sonorità: Where the Winter Beats Incessant è un luogo arcaico e onirico dove scovare realtà devote e poco conosciute, in cui la celebrazione diventa il pretesto per aprire la mente dell’ascoltatore a mondi ignoti e, soprattutto, incontaminati. Dentro di noi sappiamo di averne bisogno.