Per molti degli addetti ai lavori il nuovo album dei Vanessa risulta uno dei più attesi nell’ambito del metal industriale soprattutto dopo la recente notizia della loro reunion ,che a dire il vero agita da un po’ di tempo l’oceano cibernetico di internet . Dal 1990 al 1997 i Vanessa pubblicarono ben quattro dischetti l’ultimo dei quali approdò nelle dorate lande dell’etichetta EMI ,entrando quindi di diritto nell’olimpo della musica industriale grazie anche alla partecipazione all’MTV local Heroes con la loro song dal titolo “Prokopat se Ven” .La partecipazione a quest’ultimo fruttò alla band un bel gruzzoletto di consensi sia dal pubblico e sia dai critici ,trapanando con le loro violenti chitarre persino le menti di quelli più accaniti ed incalliti.
Grazie ad un tocco teatrale , sadico e masochista e grazie alle ossidate atmosfere che hanno animato ed infiammato i loro live performance e grazie soprattutto ad un sound che trae linfa vitale dalle derive dei padri come Ministry , Nine Inch Nails e Rammstein , i Vanessa sono riusciti a lacerare gli stretti soffitti della repubblica ceca ed a giungere nei più appropriati territori della Mittle Europa riscuotendo grande successo soprattutto all’interno dei confini tedeschi.
Eppure la ricetta espressa in quest’ultimo platter non riesce a convincere appieno nà© tanto meno riesce a rievocare i fantasmi industriali densi di pattume e ferraglia espressi nei loro precedenti lavori. Il baratro del dejavù à molto più sottile di quello che sembri ed à sensibilmente visibile sin dalle prime battute del cd. L’ampollosa e fastosa programmazione elettronica molto spesso rischia di far sprofondare questo Ave Agony in arrangiamenti convenzionali dove l’installazione meccanica ,prodotta dalle indemoniate chitarre ,sconfina in incomprensibili arrangiamenti post-core.
Velletarie cacofonie ed un microcosmo denso di detriti industriali ,sedotti e molto spesso straziati da coesioni drammatiche, non riescono ad imprimere la solita ferocia industriale della band e risultano essere dannatamente intrappolati in gratuiti mediocri sensazionalismi ed in contenuti ormai davvero superati. L’introduzione , affidata a Satanova Pomsta, risulta implume di una industrial fredda e matematica . Spolkni Dabla , seconda traccia del disco non si discosta moltissimo dalla sua precedente con la sola differenza di risultare più ballabile grazie ad una amplificazione ambientale tenuta in ostaggio dalle brutali chitarre.
Chci zmizet racchiude nella sua ferrea gabbia toracica tutta la rabbia accumulata , grazie ad un’accozzaglia di chitarrone senza freni come accade anche in Fizl na speedu. ,Melodrama Ahoj, chcipni sanciscono,invece,una sorta di cambio di pelle avvicinandosi di molto alle vaporose atmosfere di una electro body music senza pretese. In questo repentino ed assolutamente improvviso cambio di battute si può facilmente riscontrare come la band stia cercando di spostare il suo baricentro formale del genere su di assetti più distanti da quelli del metal industriale cercando di uscire fuori in tutti i modi dagli schemi derivativi dai quali prendono spunto come quelli degli Aphex Twin o dei Nin Inch Nails.
Il vortice industriale si spegne mantenendo forzatamente i clichà sonori presenti nelle song di apertura attraverso radiazioni cosmiche e devastazioni cibernetiche che non riescono ad impressionare l’ascoltatore posizionandosi in un limbo popolato da caotiche idee e da sparuti lampi di genio.