The Gun Club – Miami
Già dalla copertina questo album si presenta come “funesto”: un cielo di un blu immenso, pesante ed opprimente, due palme rinsecchite e i componenti della band con lo sguardo rattristato.Carry Home, mesta ballata spesso vibrante gli influssi dei Joy Division (si senta Brother and Sister), con la voce cupa e stentorea di Jeffrey Lee Pierce, e qull’aura “american country painted in black” che è ripresa anche in Like Calling Up Thunder, serrata e tesa o Run Through the Jungle. A Devil in the woods e Bad Indian, dinamiche e scattanti, John Hardy, al fulmicotone, Texas Serenade e Sleeping in Blood City, secche e scheletriche, appena addolcite dalle chitarre ora “scordate” e liquide, ora rancide (chissà se i Nostri all’epoca avevano contatti con le band Post Punk e Dark Wave del periodo…). Ed è proprio la sensazione di deserto che più rimanda alla musicalità della band; quelle strade polverose, immobili, dove il tempo è congelato: si senta l’intro al rallentatore della cupissima Watermelon Man, densa di un primitivismo ancestrale che non ha niente da invidiare ai Virgin Punes/Bauhaus, pulsante, sciamanica, con vocals ossessive ed echi distorti; uno dei pezzi migliori dell’album, insieme a The Fire of Love e Mother of Earth sorrette da echi spettrali su orizzonti lontani; è sempre la voce a vibrare emotiva e a raggiungere picchi di lirismo disperato, accompagnata dalla chitarra lacrimante.
Cd prodromo ai tanti Interpol/Eighties Matchbox B-Line Disaster/Rezurex odierni. Ci sarebbe quasi da sorridere all’idea che i The 69 Eyes hanno ripreso nel 2012 questo modo di miscelare atmosfere cupe a parti più rock e country: questo cd è del 1982.
Già dalla copertina questo album si presenta come “funesto”: un cielo di un blu immenso, pesante ed opprimente, due palme rinsecchite e i componenti della band con lo sguardo rattristato.Carry Home, mesta ballata spesso vibrante gli influssi dei Joy Division (si senta Brother and Sister), con la voce cupa e stentorea di Jeffrey Lee Pierce, e qull’aura “american country painted in black” che è ripresa anche in Like Calling Up Thunder, serrata e tesa o Run Through the Jungle. A Devil in the woods e Bad Indian, dinamiche e scattanti, John Hardy, al fulmicotone, Texas Serenade e Sleeping in Blood City, secche e scheletriche, appena addolcite dalle chitarre ora “scordate” e liquide, ora rancide (chissà se i Nostri all’epoca avevano contatti con le band Post Punk e Dark Wave del periodo…). Ed è proprio la sensazione di deserto che più rimanda alla musicalità della band; quelle strade polverose, immobili, dove il tempo è congelato: si senta l’intro al rallentatore della cupissima Watermelon Man, densa di un primitivismo ancestrale che non ha niente da invidiare ai Virgin Punes/Bauhaus, pulsante, sciamanica, con vocals ossessive ed echi distorti; uno dei pezzi migliori dell’album, insieme a The Fire of Love e Mother of Earth sorrette da echi spettrali su orizzonti lontani; è sempre la voce a vibrare emotiva e a raggiungere picchi di lirismo disperato, accompagnata dalla chitarra lacrimante.
Cd prodromo ai tanti Interpol/Eighties Matchbox B-Line Disaster/Rezurex odierni. Ci sarebbe quasi da sorridere all’idea che i The 69 Eyes hanno ripreso nel 2012 questo modo di miscelare atmosfere cupe a parti più rock e country: questo cd è del 1982.
Già dalla copertina questo album si presenta come “funesto”: un cielo di un blu immenso, pesante ed opprimente, due palme rinsecchite e i componenti della band con lo sguardo rattristato.Carry Home, mesta ballata spesso vibrante gli influssi dei Joy Division (si senta Brother and Sister), con la voce cupa e stentorea di Jeffrey Lee Pierce, e qull’aura “american country painted in black” che è ripresa anche in Like Calling Up Thunder, serrata e tesa o Run Through the Jungle. A Devil in the woods e Bad Indian, dinamiche e scattanti, John Hardy, al fulmicotone, Texas Serenade e Sleeping in Blood City, secche e scheletriche, appena addolcite dalle chitarre ora “scordate” e liquide, ora rancide (chissà se i Nostri all’epoca avevano contatti con le band Post Punk e Dark Wave del periodo…). Ed è proprio la sensazione di deserto che più rimanda alla musicalità della band; quelle strade polverose, immobili, dove il tempo è congelato: si senta l’intro al rallentatore della cupissima Watermelon Man, densa di un primitivismo ancestrale che non ha niente da invidiare ai Virgin Punes/Bauhaus, pulsante, sciamanica, con vocals ossessive ed echi distorti; uno dei pezzi migliori dell’album, insieme a The Fire of Love e Mother of Earth sorrette da echi spettrali su orizzonti lontani; è sempre la voce a vibrare emotiva e a raggiungere picchi di lirismo disperato, accompagnata dalla chitarra lacrimante.
Cd prodromo ai tanti Interpol/Eighties Matchbox B-Line Disaster/Rezurex odierni. Ci sarebbe quasi da sorridere all’idea che i The 69 Eyes hanno ripreso nel 2012 questo modo di miscelare atmosfere cupe a parti più rock e country: questo cd è del 1982.