Two Moons – Elements ( 2013 )
Nelle band di nuova generazione pare che lo spettro di Ian Curtis e dei Joy Division resti sempre in agguato, pronto a palesarsi in una voce baritonale, in un suono di chitarra particolarmente riverberato, in un basso fluido e “medioso”. La difficoltà delle ormai numerosissime band che fanno attivamente -o loro malgrado- parte di quell’ondata “revival” risiede proprio nel riuscire a tracciare la linea fondamentale che separi il culto maniacale e l’ortodossia dall’intuizione, afferrando le redini del genere e trascinandolo su sentieri personali. Non serve necessariamente confezionare un prodotto che porti all’eccesso l’idea di sperimentazione, nè sporcare a tutti i costi il filone di riferimento (lo si voglia riconoscere come “dark-wave” o con il più vago termine “post-punk”) attraverso elementi del tutto estranei per impressionare l’ascoltatore: basterebbe ricordarsi quanto sia controproducente, negli aridi anni ’10, riproporre qualcosa di già trito e ritrito, in tutte le salse possibili, nelle ultime tre decadi. Basterebbe, ad esempio, seguire l’esempio dei Two Moons.
Se “Colors” restava vieppiù “fedele alla linea”, con i dovuti spunti critici, rincorrendo le atmosfere più sognanti e romantiche dei Cure e un rock più serrato ed incisivo, “Elements” rappresenta una sobria ricercatezza, il raggiungimento di una misurata ed efficace maturità artistica. Un disco realizzato magistralmente ma che non risulta mai troppo asettico e “pulito”: l’anello di congiunzione ideale tra esperienza e passione. L’album migliore siglato dal gruppo bolognese, finora.
E’ palese che il bisogno di una propria dimensione, esclusiva, riconoscibile, abbia portato i Two Moons a crescere incredibilmente, sia nel suono che nell’interpretazione; la voce di Emilio Mucciga alterna episodi freddi e distaccati ad altri più “cattivi” e teatrali, come si evince dall’ottimo incipit di “Welcome to My Joy”, mentre il basso e la chitarra si intrecciano perfettamente, con intuizioni mai banali. Complice di questo traguardo compositivo è l’uso dell’elettronica, fresca e mai troppo derivativa, misurata e mai invadente, dal sapore “cyber” e, a tratti, robotico. “Rain”, il singolo di punta dell’album, è un esempio concreto di queste suggestioni: una spirale psichedelica controllata e concentrata in quattro minuti di puro “electro-pop” d’autore in cui si riconoscono echi dei tardi New Order (per intenderci, quelli di “Get Ready” e “Waiting for the Siren’s Call”). Proseguono questo efficace discorso compositivo la dance sincopata di “Brand New” e la particolarissima “Live to Give”, un brano intimista che suggerisce, per tutta la sua durata, l’illusione di una deflagrazione su ritmiche tribali e che sorprende, invece, con un’implosione acuta e tagliente al limite dello “shoegazing”.
Nonostante la naturale attitudine dei Two Moons ad assecondare ottimamente la propria inclinazione “danzereccia”, gli episodi più interessanti di “Elements” si rivelano proprio quelli più lenti e atmosferici: “Snow”, del resto, perde man mano gli oscuri e melensi rigori “80s” per abbandonarsi ad un crescendo che parte e si conclude con le stesse note di piano. E’ intrigante ritrovare la stessa struttura circolare in “Autumn”, che restituisce il fascino dei migliori e più ispirati Gene Loves Jezebel grazie al caratteristico clima gotico-romantico, clima che i Two Moons riescono a sostenere con ingegno e senza sbavature di sorta. Se “The Scream” evoca sommessamente iati “dream-pop”, in perfetto contrasto con il titolo del brano, “Star’s Child” e “I’m Sure” rappresentano una ritrovata austerità impreziosita dai solenni riarrangiamenti: il basso di Giuseppe Taibi, distorto all’occorrenza, marca l’incedere marziale mentre le chitarre, eteree e impalpabili, sottolineano l’intenso “recital-cantando”.
“Leaves”, un valzer elettronico con chitarra à-la Reg Smithies ( The Chameleons ) che vede Mucciga in veste di “crooner”, è l’elegante sigillo in ceralacca di uno degli album più interessanti della rediviva Italia “wave”: un prezioso baluardo per chi non ricerca pedissequamente le nostalgie di ieri e per chi ha, nonostante tutto, ancora bisogno di perdersi nelle fosche e cupe tinte crepuscolari del cantautorato di matrice inglese. Perché quel che fanno i Two Moons in “Elements” è dipingere, a volte evocando pennellate decise e violente, altre volte delineando con estrema cura e delicatezza i contorni di mondi squisitamente surreali, trascinandoci prepotentemente per mano in quegli stessi universi onirici. A questa irresistibile realtà bolognese non possiamo che augurare di sfruttare sempre al meglio la propria rarissima alchimia. Ad maiora!