Omaggio e rivisitazione della nota serie “direct-to-video” giapponese dedicata all’horror estremo. Come nei lavori originali – nello specifico i primi due segmenti: Ginî piggu: Akuma no jikken / Guinea Pig: Devil’s Experiment, 1985 di Satoru Okuma e Ginî piggu 2:chiniku no hana / Guinea Pig Flowers of Flesh and Blood, 1985 di Hideshi Hino – anche qui quello che conta veramente è la scelta stilistica e il suo mantenimento coerente, mentre tanto la trama – completamente assente – quanto la bontà interpretativa degli interpreti – a cui valenza si riduce tutta nella presenza fisica – sono elementi secondari.
Stephen Biro (che risulta soprattutto un fac-totum, occupandosi di regia, produzione, sceneggiatura ed effetti speciali) sublima lo spunto del primo con la struttura “narrativa” del secondo, sostituendo però all’umorismo surreale e non troppo raffinato di Hino, un sarcasmo nero e sgradevole – a tratti anche controproducente – che accompagna un’esibizione pseudo-“snuff” in cui tre giovani fanno letteralmente a pezzi, videoriprendendosi, una ragazzina e la sua giovane madre per circa 60 minuti di autentica, affossante – sebbene l’episodio di Okuma rimanga irraggiungibile nel suo nichilismo – macelleria. Biro, anzi, a differenza di Okuma, non cerca mai di curare la verosimiglianza – gli effetti speciali, per quanto efficaci, non pretendono mai di apparire iperrealistici, e alcuni momenti (su tutti quello del cuore ancora palpitante estratto dalla gabbia toracica della madre aperta con una motosega) appaiono assolutamente irrealistici – quasi a voler rinfrancare lo spettatore, sottolineandone l’aspetto fittizio da teatro “grand-guignol”.
La buona efficacia della messa in scena è in gran parte dovuta alla combinazione dell’ottima fotografia di Jim Van Bebber (regista indipendente di gran culto, noto per titoli come Deadbeat at Dawn, 1988 e The Manson Family, 1997) che, da un lato, inquadra sapientemente il vivisezionamento e, dall’altro, cura meticolosamente l’immagine; con le atmosfere malsane di una colonna sonora tra il “noise” e il “drone” realizzata da Kristian Day (Mutilation Mile, 2009 di Ron Atkins) e Jimmy ScreameClauz (VIViD, 2011 di Brando Slagle) che incrementano notevolmente gli aspetti già particolarmente perturbanti del film.
Come già sottolineato, le presenze fisiche del cast sono quello che conta, e, in questo senso, le scelte di casting appaiono centrate, soprattutto nella figura del misterioso Eight The Chosen One come boia non particolarmente brillante mentalmente, ma di notevole efficacia nella furia distruttrice; mentre Scott Gabbey è un regista cinico dal pronunciato sadismo e dalla lingua tagliente e spietata.
Ben lungi dall’essere un film per tutti, manca parzialmente, però, di quella potenza disturbante che rende Devil’s Experiment alquanto inavvicinabile, rimanendo tuttavia un’esperienza riuscita nel martirio e nella degenerazione, con alcuni momenti (le martellate sulle gengive della seconda vittima, per esempio) di notevole impatto; tanto che Biro ha proseguito la serie producendo American Guinea Pig: Bloodshock, 2015 dell’effettista Marcus Koch e ritornando dietro la macchina da presa con American Guinea Pig: The Song of Salomon, 2017, in questo momento ancora in fase di post-produzione.