In quel di Tokyo, un misterioso uomo d’affari si diverte a torturare e a massacrare giovani fanciulle indifese, filmandole in punto di morte e, successivamente, pubblicando i video in questione su internet. Nel frattempo a Giacarta, un giornalista indonesiano, afflitto da numerosi problemi di natura familiare, cade in una profonda crisi depressiva dopo aver fallito la ricerca dell’ennesimo scoop giornalistico. Scosso e ferito nell’ orgoglio, il povero cronista, mettendosi a cercare video in rete che possano procuragli emozioni forti, si imbatte per puro caso nei filmati resi virali dal killer nipponico; la violenza indicibile di queste cronache di morte alimenteranno in lui una fortissima curiosità che, manco a dirlo, lo spingerà ad entrare in contatto con l’autore delle stesse. Sarà l’inizio di un’amicizia tanto strana quanto pericolosa.
Il duo registico più violento dell’Indonesia, dopo aver dato alla luce il grandguignolesco “Macabre”, torna in tutta la sua prepotenza con “Killers”, produzione giappo/indonesiana trainata da Kazuki Kitamura (già visto in “Like a dragon” ad opera del grande Takashi Miike) e Oka Antara. Facendo leva sul contrasto scaturito dai due personaggi, simili nelle loro pulsioni – seppur mossi da motivazioni diverse – e sulle differenti ambientazioni (una fredda e asettica Tokyo ed una polverosa e asfissiante Giacarta che, in qualche modo, descrivono l’ animo dei protagonisti principali), i Mo Brothers imbastiscono un feroce discorso sulla violenza lungo ben 137 minuti. Snocciolando uno schema narrativo tipicamente thriller, l’opera della coppia indonesiana affonda il suo affilato coltello in una carne stracolma di sangue lucente e particolarmente caldo, dando così allo spettatore una pietanza horror in tutto e per tutto. L’inizio, assai crudele e cupo, dá subito le coordinate stilistiche dell’intero impianto visivo e narrativo, instillando negli occhi e nella mente di chi guarda una perenne scarica di adrenalina. Gli omicidi, disturbanti nel loro cinismo, sono girati con gelido voyerismo e mano capace dai due autori che, grazie anche ad un montaggio spesso veloce e da movimenti di macchina storti e sghembi, imprimono al quadro generale una certa aggressività deviata. Il nichilismo che traspare fin dai primissimi fotogrammi, difatti, si fa portatore di un’oscurità che attraverso le sue invisibili spire avvolge e stritola qualsiasi piccolo barlume di speranza o spiraglio di luce, tratteggiando dei personaggi neri come la pece con cui è quasi impossibile provare la benchè minima empatia. Forte com’è anche di una colonna sonora minacciosa e quasi martellante, la pellicola mantiene un ritmo pressoché costante dall’inizio alla fine, con numerose sequenze splatter e momenti di notevole tensione ottimamente orchestrati. Se è vero, però, che la noia non trova mai spazio, è altresì oggettivo che l’effetto saturazione appare in più di un’occasione, palesando dei difetti di sceneggiatura che minano in gran parte il dipanarsi del racconto. Lo script, pur dando una discreta forza alle personalità coinvolte, risulta forzato nel suo continuo show di efferatezze, dando così l’impressione di essere stato furbescamente studiato a tavolino per nascondere i numerosi buchi in sede di scrittura; lo sviluppo della storia mostra innumerevoli falle logiche che costringono lo spettatore a servirsi della cosiddetta “sospensione dell’incredulità” anche laddove dovrebbe esserci un certo realismo (alcune sequenze sembrano uscite da un episodio di “Ai confini della realtà”). Nonostante la presenza di questi difetti, è chiaro dove si voglia andare a parare; i cineasti qui coinvolti, attraverso situazioni che vanno dalla corruzione alla pedofilia, dall’orrore scaturito dall’uso sconsiderato dei moderni mezzi di comunicazione (internet, ma anche i vari social network) all’omicidio, fanno intendere che la violenza può assumere diverse forme, alimentando così l’ essere umano di istinti primordiali e fantasie nascoste e inconfessabili. E se fossimo tutti dei potenziali assassini? La risposta è “Killers”.