Giunta all’accademia del balletto di Friburgo, una giovane americana – Susy – si ritrova subito coinvolta in un misterioso duplice omicidio. Mentre le indagini prendono faticosamente corpo, la vita scolastica prosegue il suo pacifico corso, e Susy fa amicizia con Sara, amica di una delle ragazze uccise. I suoi racconti sui bizzarri avvenimenti che si sarebbero verificati all’interno dell’accademia e l’atmosfera misteriosa che l’avvolge, provocano uno strano disagio nella nuova arrivata; al punto che si trova costretta a una dieta ricostituente. Dopo alcuni orribili incidenti e la misteriosa morte di altre persone strettamente collegate l’accademia, Susy si scoprirà drogata e alla mercé di una potente congrega stregonesca.
Costruito con grande sapienza sull’incedere in crescendo della tensione e del lento svelarsi del mistero custodito dall’accademia, è certamente uno dei capolavori del popolarissimo regista romano. Con i suoi violenti giochi cromatici – grazie alla sapienza tecnica di Luciano Tovoli (Il deserto dei Tartari, 1976 di Valerio Zurlini) – che rimandano all’enfatico uso del colore che fu di Mario Bava; e un’attenta costruzione scenica – design firmato da Giuseppe Bassan (Tenebre, 1982 sempre con Argento) – il maestro dell’horror italiano edifica da subito un’estraniante sensazione di pericolo soprannaturale, che non tarderà a mostrare il suo tangibile volto già nel primo duplice delitto, magistrale esempio di coreografia della morte, in cui gli strappi nervosi si susseguono con perfetto dosaggio, sottolineati dalle eccellenti musiche composte dai Goblin (autori anche della partitura per la versione italiana – curata sempre dal Darione nazionale – di Dawn of the Dead / Zombi, 1977 di George Romero), fino al trionfo “splatter” del “climax”.
La storia, volutamente incongrua, come a voler sottolineare l’incapacità umana di comprendere appieno ciò che esula dalla materia e dalla dimostrabilità scientifica, intervalla momenti di calma a sprazzi di delirio e frammenti di cieca, brutale violenza, senza mai dar tregua allo spettatore, racchiudendo i suoi personaggi in un ambiente malevolo dal quale la fuga è pressoché impossibile. Argento (Profondo rosso, 1975) – insieme alla sua compagna dell’epoca, Daria Nicolodi (Shock, 1977 di Mario Bava) – costruiscono i vari trapassi come degli autentici quadri (come si faceva all’epoca del muto, o come le “stanze” nella poesia), senza minimamente curarsi dell’alloggiamento all’interno della trama, ma puntando solo sull’efficacia della loro messa in scena.
Il cast segue perfettamente i suggerimenti della sceneggiatura, sciorinando una collezione di prove efficacissime quanto realistiche. Jessica Harper (che aveva esordito tre anni prima con The Phantom of Paradise / Il fantasma del palcoscenico diretto da Brian De Palma) costruisce una vittima perfetta con la sua recitazione quasi in punta dei piedi (e in fondo di una danzatrice si tratta), intimidita dal nuovo ambiente e vittima innocente di una ragnatela tesale attorno con grande maestria dalle sue nemiche. La coppia composta da Alida Valli (Les yeux sans visage / Occhi senza volto, 1960 di Georges Franju) e Joan Bennet (Secret Beyond the Door / Dietro la porta chiusa, 1947 di Fritz Lang) si rivela perfette nell’algida e austera doppia personalità che contraddistingue i loro personaggi: eleganti e bellissime, celano dietro un sorriso l’oscurità di un male così profondo da essere quasi insondabile. Attorno a loro si muovono altri ottimi interpreti, che impreziosiscono la scena come il volitivo cieco di Flavio Bucci (L’ultimo treno della notte, 1975 di Aldo Lado), o la povera amica di Susy ritratta da Stefania Casini (Solamente nero, 1978 di Antonio Bido), o, ancora, l’avida Olga di Barbara Magnolfi (Inferno in diretta, 1985 di Ruggero Deodato).
È un film dove ogni singolo elemento concorre alla perfetta riuscita del complesso, suscitando un senso di disagio e paura che resta insito nello spettatore a lungo dopo la conclusione della pellicola. Uno dei migliori film dell’orrore di sempre.