Ulver, chi sono cosa fanno…
Non mi vergogno a confessare che prima d’ora non mi sono mai interessato alle loro opere discografiche, di conoscerli solo per nome, di sapere che dal Black Metal nel corso degli anni sono approdati verso lidi più sperimentali. Ma non avevano mai catturato il mio interesse.
Poi accade che passi davanti ad un negozio di dischi, e vedi “The Assassination of Julius Caesar” in vetrina. Come accade per i libri, quando passi per gli scaffali delle librerie e qualcosa cattura la tua attenzione, così la mia curiosità è stata accesa da questo album. Ho sentito il bisogno, la necessità di approfondire. Così mi sono informato… ho cercato… ascoltato e infine comprato questo lavoro.
Sono rimasto folgorato, già dal primo ascolto, dell’abilissimo gioco tra immediatezza e profondità messo in scena dai “lupi” norvegesi capeggiati da Rygg. Immediatezza della musica e profondità della stessa, delle tematiche storiche in essa trattate.
Bastano pochi secondi dell’opener “Nemoralia”, contenenti chiari riferimenti alla morte di Lady D.,per rendersi conto immediatamente di cosa intenda. Un pattern wave accattivante ma tutt’altro che immediato nel concepimento, si insinuerà a lungo nei vostri pensieri. Vi si paleserà inesorabilmente nella memoria quando meno ve lo aspettate, mentre state facendo altro. E riuscirà nel difficile intento di “farvi stare bene”.
In “Rolling Stone” vi renderete conto di quanto possano essere brevi dieci minuti, rubati al tempo, per sviluppare una canzone elegante, impreziosita da un duetto con vocals femminili.
Romanticismo e decadenza contraddistinguono la cifra stilistica emozionale di “So Falls the World”, brano che descrive con suggestive immagini la decadenza dell’Impero Romano, con un’armonia orchestrata abilmente su delicate note di piano e campane, preludio ad un’inaspettata esplosione electro dance nel finale del brano.
La struggente “Southern Gothic”, che possiede il medesimo appeal dell’opener, è l’introduzione perfetta per la suggestiva “Angelus Novus” di Benjaminiana memoria.
La morbida synth wave di “Transverberation” da la percezione di essere una scheggia uscita, per poi venire sviluppata, dalla trasformista e conclusiva “Coming Home”, canzone che muta forma più volte nei suoi quasi otto minuti, impreziositi dall’impiego del sax.
Ma la vera perla di tutto l’album è “1969”, brano le cui liriche evocano suggestive immagini dell’epoca che descrivono. Dall’Helter Skelter mansoniana, passando per Rosemary’s Baby, per arrivare allo sbarco sulla luna. Anche in questo brano le vocals femminili svolgono un ruolo fondamentale per dare ulteriore nobiltà alla melodia creata mirabilmente dagli Ulver.
L’artwork del disco è molto curato e oltre ai testi riporta foto delle tematiche trattate. La copertina raffigura una porzione del “Rapimento di Proserpina” del Bernini, opera d’arte perfetta per trasmettere il contenuto dell’album.
Sono molto impressionato dalla forza di questo lavoro. Non ho dubbi riguardo al fatto che stiamo parlando di un capolavoro. Dopo anni di buoni e ottimi dischi che spiccavano all’interno del calderone del riciclo della scena wave, finalmente un album che può tranquillamente occupare il posto lasciato libero accanto alle pietre miliari degli anni ’80.
Un album che per spessore e creatività non sfigura affatto al cospetto dei mostri sacri, con una intensità che mi porta alla mente la magia di “New Gold Dream 81, 82, 83, 84“.
Del resto come dicono gli stessi Ulver “What is done is done. And there is more to come“.
Ulver – The Assassination of Julius Caesar (2017)

10/10
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