Il terzo lungometraggio della coppia francese trapiantata in Belgio Cattet/Forzani (dopo Amer, 2009 e L’étrange couleur des larmes de ton corps / Lacrime di sangue, 2013) è un sagace mix di noir e western – desunto da un vecchio romanzo di Jean-Pierre Bastid e Jean-Patrick Manchette – nel quale una banda di sicari, rintanata in un villaggio abbandonato (una cornice eccellente tanto visivamente, quanto funzionalmente, che riprende come citazione la “location” dell’anomalo Matalo!, 1970 di Cesare Canevari) allo scopo di rapinare un’ingente quantità d’oro. Una volta messo a segno il colpo la situazione si complica per le tensioni tra i membri e i loro ospiti (una donna dai bizzarri costumi sessuali, uno scrittore e il loro avvocato) e per l’inatteso arrivo della moglie del letterato e di una coppia di agenti della polizia. L’avidità fa il resto, scatenando una prevedibile carneficina.
I titoli di testa si rifanno – con il consueto gusto della citazione dei due registi/sceneggiatori – a Faccia a faccia, 1966 di Sergio Sollima, con cui condivide la dissoluzione dei rapporti personali di fronte all’egoismo, alla ricchezza e al potere; anche se rimane, dal punto di vista della narrazione e della messa in scena, maggiormente accostabile al già menzionato film di Canevari.
Spesso semplicemente geniale, non evita qualche caduta in un calligrafismo pleonastico, ma la costruzione del racconto, più solida ed elementare e meno elusiva dei loro titoli precedenti sorregge molto meglio l’affascinante caleidoscopio di immagini messo in piedi dalla Cattet e da Forzani, ricco di rimandi al cinema di genere, soprattutto italiano – a partire da quei bizzarri “flashback” con la ragazza dorata che un po’ ricordano quelli di Tenebre, 1982 di Dario Argento – al quale risultano fondamentali gli apporti del direttore della fotografia Manuel Dacosse (Alleluia, 2014 di Fabrice Du Welz), della scenografa Alina Santos (già collaboratrice dei due in Amer) e del montatore Bernard Beets (The 4th Wall, 2010 di Clement Gharini).
L’allure estraniata del cast – Stéphane Ferrara (La strana storia di Olga ‘O’, 1995 di Antonio Bonifacio), come capo dei malviventi; e la straordinaria femme fatale della romena Elina Löwensohn (la protagonista del vampiresco Nadja, 1994 di Michael Almereyda) – finisce per rendere ancora più efficace la tragedia morale e sanguinosamente fisica che forma la vicenda.
A limitarne l’esito, comunque notevole, è un certo algido distacco – forse perché rimane un soggetto non originale – di cui la tensione notevole, il ritmo pacatamente ipnotico e le egregie trovate visive non riescono a mitigarne la percezione.