Albireon, un nome passato -forse troppo- inosservato ai più, un autentico peccato accontentarsi dei soliti grandi nomi quando nelle più piccole e nascoste crepe dei muri si nascondono magari i motivi stessi del loro crollo. Perché sono sicuro che in tanti la fuori potrebbero stravedere per la loro musica, così sottile, naturale e sincera, davvero in tanti si sentirebbero a proprio agio sulle “tristi ballate” messe in scena, su note che sanno al tempo stesso confortare in una maniera tutta loro. Perché l’Italia non è solo Ataraxia, Rose Rovine e Amanti e Camerata Mediolanense (inchino triplice in ogni caso), ci sono -fortunatamente- altre realtà come questa, realtà che lavorano sodo per raccogliere magari poche briciole. “Le Fiabe Dei Ragni Funamboli” è un doppio disco, lungo e coraggioso, a suo modo “asfissiante” ma che mai ti fa buttare l’occhio al “quanto manca alla fine”. Folk quieto e “danzante” guidato dalla voce “tiepida” di Davide Borghi, la prima parte del disco la si può considerare come “convenzionale”, contiene le canzoni “più forti”, quelle che portano avanti il progetto con il classico cantato in lingua madre. Il secondo cd è invece per i ricordi, cantato interamente nell’ovviamente misterioso dialetto della Val D’asta (e anche se non è il tuo ti prende catapultandoti altrove, in luoghi e tempi) riesce “con poco” a cambiare molto, è incredibile quanta differenza faccia l’impostazione vocale.
I due cd si completano ottimamente sebbene l’arco di composizione dei brani non sia legato ad un solo periodo di tempo (al contrario delle mie sensazioni il primo cd contiene quelli più datati), grazie a questo espediente l’ingente durata diventa un piacevole viaggio sempre bello da ripercorrere (la stanchezza gira veramente larga). Ovviamente il prodotto nella sua interezza è riservato solo ed esclusivamente agli “aficionados”, solo loro potranno trarre completo profitto dall’intera opera, per gli altri il consiglio di ascoltarsi qualche brano resta comunque viva, chissà che non trovino motivo per accedere ad un nuovo mondo tramite qualche piccolo barlume (che sono sicuro possa giungere inaspettato su qualsiasi brano random).
I miei “picchi” li ho avuto con la title track (classica canzone che ti ritrovi a cantare nei momenti più improbabili), “Il Deserto Dei Tartari” (eterea ed epica allo stesso tempo) e l’essenzialità di “Prima Del Buio” (brano che mi fa rendere grazie alla pura e sacra “Semplicità” con la S volutamente maiuscola). Dalla seconda parte invece non posso non citare “La Fola De Vent”, “Luminarie” e “Sinter D’inveren”. Infine basta anche un veloce sguardo all’artwork per capire quanto sia ancora importante procurarsi l’oggetto fisico, perché si “Le Fiabe Dei Ragni Funamboli” è in tutto e per tutto un piccolo rifugio, un prezioso scrigno da nascondere e riesumare ancora ed ancora, non importa in quale stagione ci troviamo (penso sia uno di quei pochi dischi ideali “da vestire” autunno/inverno/estate/primavera).