Con questo brano, tratto dall’articolo “Per un’Italia lunare” di Ornella Volta (personaggio interessantissimo di scrittrice triestina ma parigina d’adozione, attenta conoscitrice del fantastico e del soprannaturale, che meriterebbe un approfondimento a parte), apparso proprio sulle pagine della rivista di cui mi accingo a parlare, ho deciso di iniziare questo mio articolo dedicato al più grande (e mai abbastanza rimpianto) fenomeno del Fantastico con la “F” maiuscola che sia mai esistito in Italia; sto parlando della prima “rivista dell’insolito”, chiamata semplicemente ed efficacemente “HORROR”, di cui cade proprio in questi giorni il cinquantesimo anniversario dalla prima uscita.
La rivista nasce nel 1969 da una coincidenza di interessi tra due personaggi di prim’ordine del mondo editoriale (fumettistico e non) dell’epoca: ALFREDO CASTELLI, sceneggiatore di fumetti e critico letterario, futuro padre del bonelliano “Martin Mystére – Il detective dell’impossibile”, e PIER CARPI (al secolo Arnaldo Piero Carpi, Gennaio 1940 / Giugno 2000), autore su cui si
potrebbe (e si dovrebbe) parlare a lungo.
Personaggio controverso dai ben noti interessi esoterici (era membro della Società Teosofica), in particolare molto votato a Julius Evola, con più detrattori che estimatori, già negli anni di “Horror” Pier Carpi aveva pubblicato diverso materiale su tematiche esoteriche e magiche (“Abracadabra – Storia della magia”, 1968; “Le società segrete”, 1968; “Cagliostro il taumaturgo”, 1972, che un paio di anni dopo servì da sceneggiatura per il bellissimo film “Cagliostro” di Daniele Pettinari; “I mercanti dell’occulto” (1973). In seguito si cimentò anche nella regia, adattando due suoi romanzi magici e gnostici: “Povero Cristo” (interpretato da Mino Reitano!) nel 1975 e “Un’ombra nell’ombra” nel 1979.
Per chi volesse approfondire, entrambi i film, così come il “Cagliostro” di Pettinari, sono visionabili in versione integrale qui di seguito.
Con il supporto dell’editore Gino Sansoni, da sempre conosciuto come persona aperta a nuovi spunti e nuovi mercati, Castelli e Pier Carpi decisero di concentrare i propri sforzi al fine di creare qualcosa di assolutamente inedito in Italia a quel tempo, ovvero un OMNIBUS, come viene definito in termine tecnico questo tipo di prodotto editoriale, cioè una rivista “contenitore” di grande formato, modellata sui magazines americani “Creepy” e “Eerie”, ma che presentasse fumetti originali e che si occupasse seriamente e con un certo taglio avanguardistico anche di magia, occultismo e tematiche esoteriche o legate al mondo dell’ignoto più in generale.
Senza tralasciare ovviamente il cinema: non solo quello orrorifico o fantascientifico tout court, comunque ampiamente rappresentato, ma anche pellicole legate ad ogni aspetto del “non convenzionale” (una menzione speciale la merita l’articolo di Castelli sull’orrore in Walt Disney!).
OFFERTORIUM
Grazie alla politica editoriale adottata, piuttosto avanti coi tempi per gli standard italiani dell’epoca, “Horror” aprì la strada ad alcune innovazioni grafiche, narrative e di altro genere, come l’utilizzo del formato fotoromanzo (allora popolarissimo nel nostro paese) in modo non canonico, e la presenza costante di fumetti dal forte carattere “underground”, una tipologia molto poco in voga tra gli italici lettori, per nulla abituati a certi eccessi, nonché di strisce di umorismo nero, nerissimo, totalmente politically uncorrect (si direbbe oggi) come “Beatrice”, l’eterna strega fanciulla condannata al rogo, a cura di Pier Carpi e Marco Rostagno.
Le rubriche fisse, sempre molto interessanti, erano una vera gioia per gli occhi e per la mente: “Abracadabra”, “Ai confini della realtà – storie vere del mondo occulto”, “Il tempo dei mostri e delle astronavi”, “Orizzonti del fantastico”, “Al di là” … solo a leggerne oggi i nomi possiamo comprendere quanto il nostro paese sia in caduta libera in ambito culturale, da almeno quaranta anni a questa parte.
Nei complessivi trentuno numeri che formarono l’avventura di “Horror”, dal Dicembre 1969 all’Ottobre 1972, i fortunati lettori italiani poterono trovare e apprezzare un parterre di autori e collaboratori di assoluto rilievo internazionale, di un tal livello da far tremare le ginocchia ancora oggi: dagli italiani Dino Battaglia, Guido Crepax e Roberto Raviola (alias Magnus), senza tralasciare le fantastiche copertine di Marco Rostagno, a metà tra la psichedelia e la favola illustrata, ai francesi Jean Giraud (alias Moebius) e Philippe Drullet per la parte grafica, che lavorarono per “Horror” prima di essere coinvolti in patria con “Métal Hurlant”; mentre testi ed articoli erano firmati, oltre ai già citati Castelli e Pier Carpi, da gente come Ornella Volta, Luigi Cozzi, Gianfranco De Turris e Sebastiano Fusco, due vere e proprie autorità nel campo del fantastico e dell’esoterismo in Italia, fino agli americani Forrest J. Ackerman (che, per chi non lo conoscesse, è stato il fondatore nel 1958 della seminale rivista “Famous Monsters of Filmland”, nonché colui a cui si deve la definizione “Science Fiction” – da noi, “Fantascienza”) e lo scrittore Robert Bloch (che, oltre ad essere stato amico di H.P. Lovecraft, fu l’autore, tra le varie cose, del romanzo “Psycho”, da cui Hitchcock trasse il soggetto per il famoso film).
Ne numero 5 venne pubblicato persino un breve racconto – allora inedito in Italia – di Edgar Allan Poe, intitolato “The Lighthouse” (“Il Faro”), magicamente illustrato da Dino Battaglia.
Eppure (…c’è sempre un “eppure” in agguato da qualche parte…) come siamo ormai abituati a considerare quando si parla di coraggio e sperimentazione in Italia – proprio a causa del suo sguardo fin troppo proiettato in avanti, che indubbiamente procurò una allarmante scarsezza di
lettori, almeno per le stime dell’epoca, “Horror” dovette chiudere i battenti, lasciando i comunque numerosi estimatori a bocca asciutta; soprattutto in quanto a qualità di contenuti, se si escludono in ambito fumettistico il “fenomeno Dylan Dog” e quel Martin Mystére creato da Alfredo Castelli (che è una sorta di figlio illegittimo delle esperienze fatte su “Horror”, e di cui lo
stesso Pier Carpi scriverà una storia divisa in due numeri – il 160, “L’eredità dei Teutoni”, e il 161, “Il volto di Orfeo”), questo vuoto pneumatico culturale continua inesorabilmente ancora oggi.
Un tale livello qualitativo e contenutistico non si era mai visto nel Bel Paese, e continuerà a non essere visto per un bel po’ di tempo.