L’eleganza di un requiem struggente ci prende per mano tra le arcate scalcinate di uno spleen vorticoso, ci avvolge e ci contorce, ci straccia e ci riavvolge nelle carezze che non si è mai osato dare. L’ordito intreccia i fili di congetture fassbinderiane, da cui l’intera opera trae le sue notturne divagazioni. Amori più freddi e glaciali della morte, lacrime amare d’amori tormentati, paure che divorano l’anima, ritratti struggenti di morbose concupiscenze sadomasochistiche.
Peccati che perseverano su strade perdute, sostenuti dall’assenza incolmabile di qualsivoglia perdono, neanche fuggevolmente cercato. Tutto riconduce a binari morti che tacciono in statica rassegnazione, che conducono ad un nulla di fatto irrimediabilmente irrecuperabile. Le promesse mutuano l’intenzione ardita in ossessiva possessione. Amore sofferto e sofferente, esegesi dei rapporti di dominazione e sottomissione che ammiccano al piacere intrinseco al dolore più insopportabile eppure indispensabile. Sanguinare e lacerarsi, rigirare il coltello nella piaga per sentire il battito della vita, forse per la prima volta. E volerne ancora, ossessionarsene al punto da ammorbarsi di patologie senza cura.
La roulette cinese gioca con le vite di ognuno con maniacale disinvoltura, fino ad uccidere per assurdo quanto più si ama e quanto più rappresenta la nostra ragione stessa di vita. L’amarezza di fondo che si apre a ventaglio allo sguardo attonito di colui che impunemente e con certa presunzione pretendeva di appartenere a qualcuno cui si concesse per una svista, è l’amarezza indolente di chi vede svanire i suoi progetti, le idee in cui aveva creduto e che fiduciosamente sentiva di voler condividere fino all’ultimo respiro. Per amore, per la libertà, per le catene che questa comporta. E piovono lacrime su corpi martoriati, lasciandoli nudi e soli. Mai più un caldo raggio di sole ad intiepidirli. Solo l’immane tristezza di ricominciare tutto daccapo e gettare la spugna prima ancora di rimettersi in gioco. L’azzardo è stato perpetrato senza cognizione di causa: tutto il cuore, palpitante e piagnucolante, messo a rimpiattino sul rosso, per essere tradito dalle speranze disattese. Il cuore annerisce e si circonda di tenebra e colà giace a cadenzare le sue esequie premature. E una vita senza quel che ci si ostina a volere è solo un testamento interiore per cospargersi il capo di umida terra e lentamente inumarsi: la vita grida ma siamo sordi al richiamo, preferendo quella morte ulteriore che ci liberi dal male. Tutto per selvaggi desideri che offuscano il libero arbitrio e dai quali siamo frustati a dovere. La bestia dentro di noi scalpita e predomina, uccide l’angelo macchiandolo di vergogna e rimodella a sua immagine l’uomo ignaro che la ospita.
Disco estremamente introspettivo e liturgico, seconda collaborazione di Salvatori con il compositore Stefano Puri, è l’opera della maturità e anche del rinnovamento stilistico. E, pure, oserei dire il migliore Spiritual Front ad oggi. Da ascoltare dall’inizio alla fine, senza interruzioni. E’ un viaggio che non vi lascerà indifferenti. Forse non vi sarà ben chiara la destinazione ma in un viaggio quel che conta è andare. E soprattutto perdersi, anche per sempre.