Captata la trasmissione di un plotone creduto disperse nel famigerato “Punto R”, viene subito costituita un’unità di soccorso da mandare per tentarne il recupero. Il gruppetto supera un’imboscata tesa loro da una donna; e finalmente raggiunge i confini dell’area della loro missione, accolti dalla preoccupante frase incisa su una lapide. Scoprono così che in quel territorio vi era un laghetto fatto prosciugare dai cinesi secoli prima, per potervi seppellire i corpi dei vietnamiti che avevano trucidato; e sui quali hanno eretto un tempio. Il gruppetto di uomini raggiunge finalmente l’enorme tempio, oramai in rovina, e vi si insedia. Mentre trascorrono i giorni nella ricerca dei loro commilitoni, l’atmosfera si fa sempre più misteriosa e surreale, mentre strani eventi si susseguono, come il captare messaggi radiofonici di soldati francesi da tempo morti, o la presenza di un drappello di soldati americani lì giunti per depositarvi del materiale, salvo fuggire quanto più rapidamente possibile, portando alla morte alcuni dei loro uomini; e la scomparsa misteriosa di alcuni membri del drappello di soccorso. Alla fine, lo scontro tra i soldati sopravvissuti e le malevoli forze che dominano “R Point” risulterà inevitabile e particolarmente sanguinoso.
Profondamente atmosferico, con le sue immagini misteriose, ottimamente fotografate da Hyeong-jing Seok (My Heart Beats, 2009 di Eunhee Huh), e con i suoi silenzi rotti solo dalle voci dei soldati e dai sospiri dei morti, questo Arpointeau è uno dei più interessanti horror del decennio, ambientato, come l’altrettanto ottimo Outpost, 2008 di Steve Barker, in una zona desolata e nel mezzo di un conflitto. Su-chang Kong (che ritornerà un po’ alle stesse atmosfere con il successivo GP506, 2008) fa confluire con maestria la tensione del genere bellico all’orrore e al mistero del fantastico soprannaturale, gestendone con attenzione i momenti e senza lasciare che uno soverchi l’altro, ottenendo un mix quanto mai equilibrato e funzionale che tiene sempre sulla corda lo spettatore lungo tutta la durata – che supera nettamente i 100 minuti – della pellicola.
Il cast è ottimo, conferendo grande sostanza agli sventurati personaggi, soprattutto proprio nei ruoli principali, con il protagonista Woo-seong Kam (Geomi sup, 2004 di Il-gon Song) a emergere su tutti con grande personalità e poliedricità.
A incorniciare il tutto ci pensano, poi, le composizioni minacciose e oscure di un ispirato Pa-lan Dal (Sungnyangpali sonyeoui aeri, 2002 di Sun-woo Jang) in grado di dare ancor più sostanza alle già magiche immagini.
È un film lento ma intenso, che trascina un secondo dopo l’altro il suo pubblico all’interno del suo mistero senza fare ricorso a facili effettismi o a banalità sanguinarie, ma incentrandosi solo sulle atmosfere e sulle suggestioni, per tanto, non è un film per tutti; ma, di certo, i sostenitori di un certo cinema – senza andare a scomodare la scuola “Val Lewton”, alla quale certamente la pellicola si rifà – né saranno quanto mai soddisfatti.