Crollo verticale della “franchise” ideate da Wes Craven nel 1984.
Un bizzarro ragazzo vagabondo viene aggregato a un riformatorio e affidato alle cure di una psicologa già alle prese con un gruppo di ragazzi difficili, tormentati da incubi atroci. Il nuovo arrivato rivela misteriosi punti in comune con il passato nebuloso della dottoressa, al punto che decide di partire per la sua cittadina natia, involontariamente seguita dai ragazzi del suo gruppo che intendevano evadere dall’istituto. Una volta raggiunta la destinazione scoprono che è priva di giovani e popolata da personaggi quanto meno astrusi, che non mancano di mettere in apprensione la dottoressa; ma la scomparsa di uno di loro – e il fatto di ritrovarsi intrappolati in una sorta di misterioso labirinto urbano – impedisce loro di abbandonare la città, mettendoli alla mercé di un nuovamente risorto Freddy Kruger. Alla fine salta fuori un’improbabile parentela – sempre sottaciuta nei precedenti episodi – che butta involontariamente tutto in farsetta da due soldi, tra la psicologa e il killer dei sogni
Fiacco e stanco già a partire dalla sceneggiatura – Michael De Luca (Blade II, 2002 di Guillermo Del Toro), che già aveva messo mano a quella del quinto capitolo, espurgando pressoché in toto il lavoro della rinomata coppia Skipp & Spector, farebbe molto meglio a rimanere dietro la sua scrivania occupandosi della gestione economica – è un film che sin dall’inizio vira all’involontariamente comico, ancorché qualche aspetto ridanciano sia stato presumibilmente voluto; e lo fa con grande impegno e accanimento. Rachel Talalay (figura tecnica di secondo piano lungo tutta la serie e in seguito regista del non molto migliore Ghost in the Machine / Killer machine, 1993) esordisce con un certo imbarazzo nella gestione di un progetto probabilmente più grande di lei e che gli scappa dalle mani un po’ in tutte le direzioni, con derive piuttosto imbarazzanti specie nella gestione degli interpreti.
Il comparto attiriale deficitario è ben testimoniato dalla prova opaca e poco convinta del mattatore Robert Englund; ma non meglio si potrebbe dire della co-protagonista Lindsay Fields (poi dispersasi in svariate interpretazioni per il piccolo schermo, anche sua dimensione di provenienza) costantemente fuori registro, o dell’inguardabile – e insopportabile – Shon Greenblat (Timelock, 1996 di Robert Munic). Senza contare che lo stesso Yaphet Kotto (Alien, 1979 di Ridley Scott) – usualmente di ben altro spessore – sembra quasi credersi in un di quelle satire demenziali del genere che avrebbero spopolato in futuro (Scary Movies vari, “et alia”).
A poco serve l’apporto degli effetti speciali, come di consueto confezionati con cura dai validi tecnici coinvolti – che vedono presenze eccellenti come quelle di Hoyt Yeatman (Armageddon / Armageddon – Giudizio finale, 1998 di Michael Bay), John Carl Buechler (From Beyond / From Beyond – Terrore dall’ignoto, 1986 di Stuart Gordon), Marty Becker (Friday the Thirteenth: the Final Chapter / Venerdì 13, parte IV: Capitolo finale, 1984 di Joseph Zito), il duo Stetson/Spurlock (la trilogia di Lord of the Rings / Il signore degli anelli di Peter Jackson, il primo; The Dark Knight / Il cavaliere oscuro, 2008 di Christopher Nolan, il secondo) e Jamie Dixon (Promehteus, 2012 di Ridely Scott).
Demolito da forze incontrastabili (tra le quali anche una scelta musicale davvero scadente, che mina il discreto “score” di Brian May – non quello dei Queen! – autore anche delle partiture per i primi due Mad Max / Interceptor di George Miller), Freddy muore mestamente e definitivamente, salvo risorgere nel’ultimo capitolo, con il brillante assunto meta-cinematografico apportato nuovamente da Wes Craven.
A conti fatti, rimane il grande rammarico che siano state bocciate due sceneggiature – di Peter Jackson (Braindead / Splatters – Gli schizza cervelli, 1992) e Michael Almereyda (Nadja, 1994) – che mai avrebbero potuto essere peggiori di un tale pasticcio d’incoerenza e ridicolaggine.