SOLSTIZIO D’INVERNO?
Solstizio d’Inverno e Natale, un accostamento azzardato? Macché! La consuetudine materialistica e distratta dei nostri tempi non può cancellare, per quanti nutrano interesse e voglia di indagare, la stretta correlazione tra la festa più importante che la cristianità si è fatta propria e il momento astronomico del Solstizio invernale. Fin dalla cosiddetta preistoria, infatti, quando non esistevano “religioni” tanto meno monoteiste, gli uomini hanno cominciato ad annotare con scrupolosa attenzione le alternanze dei cicli celesti per seguire, entrandone in simbiosi, i ritmi della natura.
Momenti rituali che erano alla base della vita comunitaria dove il Solstizio d’Inverno rivestiva, e continua ancora ad esserlo millenni dopo, un momento cardine dell’anno solare per le tradizioni e culture indoeuropee, diventando momento focale dell’intera esistenza collettiva: il momento in cui, il Sole ‘risorge’, dopo una sorta di “morte apparente”.
Infatti nel Solstizio d’Inverno il Sole, giungendo nel punto più basso dell’eclittica, sembra come inabissarsi, sparire per finire nel nulla, ma quasi come una rinascita, alla fine poi risorge, rinascendo nel giorno più corto e nella notte più lunga dell’anno. Quindi oltre la valenza astronomica e naturale, le antiche popolazioni indoeuropee riservavano a questo culto un significato simbolico altamente spirituale, lo Yule, la festa della luce, una trasposizione mistica e mitica, facendone ritmo di iniziazione intra-personale.
Un rito di trasmutazione e rinnovamento individuale avvalorato da un significato cosmico e universale. La ricomposizione dell’Unicum ancestrale. Un significato adeguato per quelle popolazioni in cui non era affatto cancellato il ricordo delle ultime fasi del periodo glaciale.
Ed è giusto rimarcare che sbaglierebbe chi volesse qui dare un’interpretazione squalificante tale da trascurare il significato spirituale di tutto ciò, riducendolo ad una mera rappresentazione animistico-naturalistica e primitiva (intendendo con quest’ultimi termini qualcosa di vetusto e obsoleto), quando in realtà si tratta di celebrazioni di fenomeni naturali vissuti come manifestazioni sacre, il cui culto affonda nella notte dei tempi. In Puglia gli stanziamenti di Messapici (Menhir e Dolmen successivi alle migrazioni dall’Illiria dal 1000 all’800 a.C.) così come i riti nel complesso megalitico sulle cosiddette Dolomiti Lucane a Petre de la Mola (Basilicata) o nella Valle del Belice (Sicilia) o sul Monte Stella (la Petra ru Mulacchiu nel Cilento, Campania) non sono altro che una rappresentazione giunta sino a noi del preistorico culto del mito Solare.
La ricorrenza solstiziale d’inverno passò poi nell’antica Roma d’età imperale, quando Caracalla incoraggiò il culto del dio solare (ipostasi ed epifania del Dio unico) e il Solstizio d’Inverno diventò il momento conclusivo dei Saturnali, festa romana per eccellenza (da qui il rito dello scambio di doni). Fu Augusto che, al tempio nel Campus Agrippae (ora Piazza San Silvestro) sostituì il Sole nelle cerimonie ufficiali con il dio Apollo e, con l’allargamento dell’Impero verso Oriente, ulteriori elementi finirono per arricchire questo consolidato culto che prese il nome di Invictus, ovvero ‘Dies Natalis Solis Invicti’, il giorno del natale del Sole invitto, il Sole invincibile. Quando dalla Persia giunse il culto del dio Mithra, nel 274 l’imperatore Aureliano scelse il 25 dicembre come giorno celebrativo del Natale solare.
Ora, al di là dell’indagine sui rituali mithriaci e sui veri gradi di iniziazione, ciò che qui preme evidenziare è il valore simbolico di una festa, di una ricorrenza che nei secoli ha smarrito la sua spinta iniziatica e spirituale, offuscata nel mondo dei grattacieli, degli aerei e dei cellulari, che ne ha depotenziato una tradizione remota, il cui simbolismo di Luce perenne, però, non muore in quanti intendono rinnovarsi in un mistero di resurrezione e rinascita mistica fondato sulla raffigurazione di una forza solare sfumata nell’Albero che sorge (l’Albero della Vita la cui radice è nell’abisso, l’Yggrdrasil della mitologia nordica), dove l’Uomo cosmico con le braccia alzate invoca le forze della vittoria trionfale e della calma olimpica.
Cosa rimane? Quello che è sopravvissuto è ben poco, se non in forme parossistiche, meccaniche ed incomprensibili ai più. Lo si può notare nell’uso popolare di accendere sul tradizionale albero le luci nella notte o di portare e scambiare i doni, la notte di Natale (altro residuo delle usanze dei Saturnali). Usanze superficiali e svilite di residui di idee primordiali che si riconnettevano al sovrasensibile. Ad un piano, ad un livello chiuso ai più ma i cui spiragli sono ancora ben visibili per chi sa guardare oltre la civiltà dei consumi.
Per altri invece, l’attesa ogni anno del Solstizio d’Inverno, è il desiderio di rinnovamento e la spinta a guardare il mondo da un’altra prospettiva. Magari da un’alba. Che non è come le altre.