Giunto alla terza prova sulla storyline, il non più misterioso progetto multimediale di iamamiwhoami aggiunge ben poca carne al fuoco all’impianto oramai consolidato. Le atmosfere suggestive e inafferrabili dei lavori precedenti sono già ricordo: qui vige una certa leggerezza, una freschezza pervasiva, come suggerito a priori persino dall’acquea copertina, che pure presuppone un approccio all’ascolto fin troppo pacato.
E di questa semplificazione ne risente anche l’aspetto visual, oltremodo naturalistico. Ben lontani, dunque, da quelle talentuose trovate pubblicitarie di kin [2012] e bounty [2013], album sì concettualmente diversi ma ancora legati a doppio filo da un trait d’union onirico e trasognante, corredati da un supporto immaginifico di tutto rispetto (nel caso ve li foste persi, recuperatevi la videografia dell’album di esordio, esempio concreto d’astratte intenzioni magnificamente realizzate, sia artisticamente che tecnicamente).
Dicevamo, semplificazione. Dalla prima all’ultima traccia è un susseguirsi di sonorità liberatorie, di canti quasi spensierati, di soluzioni pop assai contigue a certi echi e synth di natura eighties. Di per sè non sarebbe neanche questo gran difetto, non fosse altro per una stucchevole monotonia di fondo. Con un gioco di parole d’infima categoria, potrei liquidare il tutto così: tracce che non lasciano traccia.
Ma non è tutto da buttare. Brani come “Vista” e “Ripple”, per esempio, sanno il fatto loro e sanno intrattenere con sorprendente inventiva, scortandoci senza troppa fatica in territori vergini, da esplorare palmo a palmo. Aperture vocali su basi musicali improbabili ma audaci. Così come la traccia finale “Shadowshow”, in maniera forse calcolata, recupera con discrezione sparute note di quella malinconia del tempo che fu, chiudendo il cerchio con un finale aperto. Rimembranze implicite di un discorso lasciato in sospeso, a guisa di memento.
La realizzazione è ottima, di per sè. Ma la sostanza artistica è menomata. Incompleta. Non osa come potrebbe e come dovrebbe. E resta in silenzio, sul fondale, travolta da quell’insostenibile leggerezza di quell’acqua perigliosa, divenuta subdola melma e trappola autoreferenziale.