Si era creata parecchia hype nei confronti dei Japan Suicide all’uscita del loro secondo disco intitolato “We Die in Such a Place“, prodotto e distribuito dalla label francese Unknown Pleasure records, tant’è che quando mi è stato assegnato per questa recensione, la curiosità attorno a questo lavoro era davvero tanta.
Mi sono trovato, quindi, dinanzi a quel capolavoro che tanti miei colleghi esaltavano ed elogiavano? Non del tutto. Per carità, l’operato del gruppo di Terni è degno di nota e su questo non si discute: il post-punk di fine anni 70 si amalgama ottimamente ad atmosfere rarefatte e decadenti, accompagnate da batterie marziali e chitarre piene zeppe di echi e riverberi, dando al sound una sensazione di freddo e di “distanza”. Il tutto abbinato da una produzione ottima e da una perizia tecnica adeguata dei musicisti coinvolti.
Cosa c’è che non va, quindi? Il fatto è che questo full length album mi ha coinvolto poco, rendendo l’ascolto sommario piacevole solo a metà. Ci sono alcune tracce che alzano di parecchio il livello medio del lavoro, come “Death“- un giro di basso davvero notevole- e la successiva “Insight”, malinconica ed evocativa, giusto per citarne un paio.
Difficilmente però, mi capiterà di riascoltare questo disco per il puro piacere di farlo. Questo, ovviamente, è solo il mio parere, soggettivo e per niente insindacabile, ragion per cui non sento il bisogno di mettere un voto rigurdante le emozioni che ho provato nell’ascoltare “We Die in Such a Place“, ma mi “limiterò” a giudicare solo il lato prettamente tecnico/compositivo del disco. Su questo frangente siamo tutti d’accordo, e il voto che capeggia in alto ne è la più chiara dimostrazione.