L’interminabile attesta giunge , dunque , al suo ultimo capitolo. I neri sipari si aprono ed il tredicesimo grido notturno targato The Cure prende forma. 4:13 Dream assorbe sicuramente, dal punto di vista del marketing , l’esperienza di un trentennio di furberie puntando sull’uscita di una serialità di singoli, in questo caso ben quattro, e concentrando tutti gli sforzi su una spaventosa e regale campagna pubblicitaria.
A dire il vero , la storia di questo 4:13 Dream appare molto travagliata e sembra che i nostri abbiano sudato e non poco per riuscire ad organizzare questo full lenght. Stando alle voci,infatti, la band ha dovuto continuamente ritoccare le trentatre tracce che dovevano convogliare in un doppio album respinto , però , dalla casa produttrice e quindi suddiviso in due cd singoli.Il disco che andremo ad analizzare a differenza del ” The Dark Album” , la cui uscita è prevista per Aprile 2009, è la parte più pop-rock della band. Le novità di questo baule colmo di speranza e maturità sono davvero tantissime e ce ne sono davvero per tutti i gusti.
Una delle più grandi novità, sicuramente, è il rientro tra i ranghi del chitarrista Paul Thompson , talentuoso chitarrista nonchè autore dell’artwork del disco come ai tempi di wish e complice di uno dei capolavori della band ovvero Disintegration.
Abbandonate definitivamente le tastiere la band assume sicuramente un taglio più rock ponendosi al crocevia del chitarrismo di Wish ed il piglio live di ” The Cure” strizzando l’occhio alle sonorità pop che non vengono oscurate del tutto.Il sipario si apre con “Underneath The Stars” una vera e propria gemma atmosferica che rievoca i fastumi di Plainsong . I suoni ” forestali ” che hanno infestato e caratterizzato l’anima dei Cure prendono nuove forme e tornano a nuova vita grazie anche ai graffianti inserimenti della chitarra di Paul Thompson che li rende molto più maturi e moderni.
I toni tornano ai “mondi pop” con The Only One e Freakshow . Queste due tracce sono il perfetto connubio tra gotico e beat anni 60 condite da sonorità psichedeliche che danzano e graffiano le più morbide melodie pop. Le atmosfere diventano inquietanti ed un po’ orientalegganti con ” The Scream” per divenire ruvide in ” The Real Snow White” .
Un album dall’anima variopinta e disinvolta nello spaziare tra diverse sonorità, trascinata dall’ottima performance canora del frontman Robert Smith che dimostra anche una vena eccentrica e sperimentale. Dopo trent’anni di dischi e di performance live i Cure dimostrano di essere ancora una delle band capaci di stupire e di attirare la curiosità dei più grandi mass media, Il tempo non sembra essere interessato a deviare la loro anima e la loro forza carismatica che come un demone dolce ed un angelo oscuro danza , canta e vola in modo ossessivo tra i palchi dei concerti live , dimensione nella quale la band ha dimostrato di essere perfettamente a suo agio.
L’inquietudine e la dolcezza in questo album si tendono la mano cavalcando le sonorità che fecero la fortuna di un tempo ma che dimostra la grande voglia di esprimere e di ricercare sempre qualcosa di nuovo. Il disco sicuramente spaccherà critica e pubblico per la sua anima molto più rockeggiante e per l’allontanamento dell’ormai storico tastierista O’Donnell ma bisogna dire che il nuovo album è solo il frammento che squarcia la superficie dell’anima nera dei Cure che verrà sicuramente lacerata dall’uscita del prossimo disco che si preannuncia davvero oscuro e maledetto.