Pellicola di grande impatto visivo – soprattutto nella copia restaurata della Criterion – nella quale il regista danese Benjamin Christensen (in seguito emigrato negli States dove dirigerà un paio di discrete pellicole di genere, tra le quali Seven Footprints to Satan / Sette passi verso Satana, 1929) traccia, sfruttando il metodo del “docu-drama” la storia della stregoneria, concentrandosi soprattutto nel periodo medioevale. Seguendo le vicende che portano all’arresto e al processo di una povera vecchia ritenuta una strega, Christensen traccia una disanima dei metodi con cui l’Inquisizione operava durante le indagini e in fase processuale e mette in mostra la nutrita serie di credenze superstiziose che, in quel periodo, animavano la fantasia della gente, trovando terreno fertile alla loro crescita nell’ignoranza generale in cui vivevano. Nella parte conclusiva, il regista tira le somme sugli eventi narrati, paragonando le diverse situazioni ai tempi del medioevo con quelle attuali, sottolineando come le credenze sopravvivano con maggior resistenza di quanto si vorrebbe ritenere. Christensen, al di là delle tesi che espone, offre soprattutto una meticolosa e riuscita ricostruzione di un ambiente storico, senza tirarsi indietro di fronte all’esibizione delle immagini più scabrose – abbiamo una novizia nuda tra le braccia di un demone, una congrega di streghe che baciano il deretano al Capro satanico, una serie di torture più o meno (quanto meno per il periodo di realizzazione) forti imposte dai boia dell’Inquisizione alle sospette streghe, e, nella scena finale, un donna arsa su un rogo, immagine di sicuro impatto visivo e che potrebbe tranquillamente esser stata ripresa da molte pellicole “horror” del periodo successivo – nella quale le scenografie di Richard Louw e i costumi hanno la loro importanza, quanto la stupenda fotografia curata da Johan Ankerstjerne (Atlantis, 1913 di August Blom), o quanto gli incredibili primi piani Christensen fa ai suoi interpreti. In effetti, il cineasta danese si avvantaggia di una collezione di volti di prim’ordine, a partire da quello di Maren Pedersen (stando a quando dichiarato dal regista, una fioraia reclutata sulla strada) nel ruolo della povera anziana creduta una strega, in cui uno sguardo fortemente espressivo emerge da una ragnatela di rughe, ritratto preciso di una donna consumata da un’esistenza difficile che rimane profondamente impresso nella mente dello spettatore. Ottime caratterizzazioni sono anche quelle offerte da Elith Pio (Blade af Satans bog / Pagine dal libro di Satana, 1921 di Carl Theodor Dreyer), da Tora Teje (Erotikon, 1920 di Mauritz Stiller) da Oscar Stribolt (Kärlek och hypnotism, 1922 di Lau Lauritzen) e da John Andersen (al suo unico film); ma in generale è tutto il cast che molto ben si comporta, offrendo un’aurea di realismo che riesce a travalicare i limiti della drammatizzazione e a fornire una profonda credibilità a quanto testimoniato. A tutto ciò si aggiungono gli ottimi trucchi – basti vedere le immagini dei demoni o di Satana (Christensen stesso) – e alcuni spettacolari effetti speciali visivi – la scena delle streghe che volano al Sabbah a cavallo di scope e altri attrezzi sopra i tetti del villaggio, sequenza che costrinse l’operatore Ankerstjerne a costruirsi un macchinario particolare – rendono memorabile la visione di questo autentico capolavoro senza tempo, che meriterebbe di comparire in ogni cineteca che si rispetti.
Haxan / La stregoneria attraverso i secoli (1922, di Benjamin Christensen)
- Alessandro M. Colombo
- 2 Luglio 2016
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