Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.
– Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? – chiede Kublai Kan.
– Il ponte non è sostenuto da questa o da quella pietra, – risponde Marco, – ma dalla linea dell’arco che esse formano.
Kublai Kan rimase silenzioso, riflettendo. Poi soggiunse: – Perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco che mi importa.
Polo risponde: – Senza pietre non c’è arco.
(Italo Calvino – Le città Invisibili)
Con circa sei mesi di lavoro abbiamo pianificato insieme agli organizzatori questo intenso tour in terra Cinese. Siamo stati contattati da un’agenzia di concerti di Pechino che ci ha offerto di organizzare il tour. Inizialmente titubanti e con aspettative confuse, non immaginavamo cosa ci fosse dietro e soprattutto non immaginavamo che tipo di risposta di pubblico si sarebbe potuta avere in una terra così lontana. Ma loro e hanno puntato molto su di noi, tanto da realizzare per la prima volta un tour così lungo per una band italiana underground. E sapevano il fatto loro perché, con nostro sommo piacere, abbiamo scoperto di avere tantissimi fans in Cina.
2, 3 dicembre, in viaggio verso Pechino
Roma Fiumicino, il primo aeroporto di questo viaggio, Annalisa Madonna ed io siamo carichi di aspettative, e pronti ad affrontare un lungo viaggio, mi confronterò per la prima volta con una cultura più antica della nostra, sensazione a cui non sono abituato. Passeremo per la mia amata Istanbul, per lo scalo aereo. Ed è proprio la vista notturna del Bosforo la prima emozione, un sapore che avevo già provato, la città vista dall’alto da’ l’idea di un immenso mosaico di luci ordinate. Purtroppo stavolta non potrò godermela, ho solo il tempo di sognare i mercati luccicanti guardando i caleidoscopi di dolciumi turistici all’aeroporto. Solo Mezz’ora d’aria turca, poi si riparte per Pechino.
Otto ore e mezzo di viaggio passano piuttosto in fretta, il volo è condito di adrenalina. Partiamo alla mezza da Istanbul, e con un balzo in avanti nel tempo ci ritroviamo a Pechino alle 16:30 del pomeriggio, ma nel nostro bioritmo è prima mattina (8:30).
L’aeroporto di Pechino è a dir poco avvenieristico, sembra piuttosto un’immensa astronave aliena adibita a scalo aereo.
All’aeroporto conosciamo finalmente il nostro tour manager, Aaron, dopo un lungo scambio epistolare, trascorreremo con lui gran parte del nostro tempo in Cina, 12 giorni, in vista di ciò speriamo tanto in una simpatia reciproca.
Aaron ci conduce dal nostro autista, un simpatico signore cinese con una bella auto lucente, lui non parla inglese ed in Cina lo parlano in pochi, ci offre subito dell’acqua imbottigliata, sarà bene ricordarsi che qui in l’acqua negli corrente non deve mai essere bevuta.
Partiamo per il nostro albergo, non abbiamo affatto sonno per il jet lag, ma in qualche modo dobbiamo riposare, domani si parte alle 5!
A cena Aaron ci porta in un ristorante pechinese stupendo, il mio punto di vista da occidentale si aspetta un cibo acido, dal sapore forte e dall’odore pungente, nulla di tutto ciò. Il ristorante ha una qualità strepitosa e i piatti non hanno nulla a che vedere con i nostri ristoranti cinesi occidentali, nemmeno mezzo ingrediente.
4 dicembre – Changsha
Sveglia alle 4:30, di nuovo in auto per l’aeroporto di Pechino, siamo diretti a Changsha, città a me del tutto sconosciuta. Aaron mi dice che si tratta di una città “piccola”, considerando che la nostra capitale – Roma – conta circa 5 milioni di abitanti, scopro che quella città, che lui aveva definito “piccola”, conta ben 6 milioni di abitanti.
La città è assai più rude di Pechino, c’è tanta povertà unita ad altisonanti grattacieli, la parte povera mi ricorda quasi l’Albania, mi chiedo chi possa essere interessato ad un nostro concerto, o in generale, ad un gruppo di musica italiana in questa città.
Aaron mi confessa che per loro questo concerto è una sorta di modo di testare la città, prima volta per noi, prima volta per loro, mai organizzato un concerto qui.
Arriviamo in albergo, un albergo piuttosto semplice ed essenziale, ci sono solo cinesi, qui non c’è turismo e pare proprio che non ce ne sia la voglia, mi dice addirittura che nonostante avesse provato a prenotare in hotel più vicini al luogo del concerto, ha trovato solo posti che non accettano occidentali in quella zona, hotel per soli cinesi! Il tempo è a dir poco ostile, pioggia e zero gradi, fuori città le campagne sono addirittura imbiancate.
Il club ha un bel palco ed uno spazio con dei tavoli sia sul piano terra che su una sorta di soppalco, il fonico interpreta discretamente i nostri suoni.
Arriva l’ora del concerto, in sala ci saranno una cinquantina di persone, non conoscono le nostre canzoni, ma ci ascoltano con pazienza, gli applausi sono flemmatici, ma c’è attenzione. A fine concerto qualcuno tra il pubblico si ferma a parlare con noi e nessuno acquista dischi… un po’ tiepido come inizio, ci prepariamo ad un tour a temperatura media.
Aaron ci spiega che Chang Sha è una città molto chiusa, e purtroppo noi siamo stati la loro testa d’ariete e il maltempo pare non aiuti (in questo i cinesi sembrano molto simili a noi napoletani), pazienza.
Rientrato in albergo mi ritrovo sotto la porta un volantino con un’immagine stilizzata di una bella donna orientale e due numeri di telefono, pare sia un usanza locale. Anche Annalisa trova lo stesso.
Dalla finestra scorgo un immenso grattacielo in costruzione, mi sembra di vedere che le gru si muovono e che qualcuno stia saldando qualcosa lì in alto, eppure è mezzanotte, mi sarò sbagliato.
Scendendo per la cena passiamo più vicini al grattacielo, non mi ero sbagliato, qui il lavoro non si ferma mai, turni a rotazione in modo da essere più veloci nelle costruzioni e non perdere tempo, siamo proprio dall’altra parte del mondo!
Ceniamo in un posto piuttosto semplice, i cinesi hanno l’abitudine di utilizzare dei cestini, proprio sotto il tavolo – generalmente uno a commensale – in cui sputare spine di pesce, o altri scarti di cibo. Per noi occidentali è un’idea improponibile, eppure a fine pasto non c’è poi bisogno di pulire la tavola.
5 dicembre – Nanjing
Il rito Auto, check-in, volo, albergo si ripete anche oggi, arriviamo a Nanjing (Nanchino), altra città mastodontica, anche se meno aggressiva e architettonicamente meno stridente.
La cosa che mi colpisce in questa città sono i semafori “a cronometro a vista”, le persone non vedono solo il colore, ma anche i secondi che scorrono al contrario in modo da sapere in anticipo quando scatterà il semaforo e, di conseguenza, perdere meno tempo.
Il luogo del concerto, che si trova in un centro pieno di locali di diverso tipo, dalla discoteca rock alla dance.
Ci presentano il fonico, un ragazzo molto giovane coadiuvato da una ragazza che avrebbe tradotto dall’inglese. Ci rendiamo subito conto che purtroppo il ragazzo non è molto addentro al suo mestiere.
Due ore di sound check per raggiungere un risultato a dir poco scadente, è proprio vero che ogni mondo è paese e la gente improvvisata si può trovare ovunque.
Iniziando il concerto ci rendiamo conto che il pubblico qui è più reattivo e sembra familiare con le nostre sonorità. A fine concerto le persone si avvicinano a noi, ci chiedono di firmare gli album che hanno acquistato e di fotografarsi assieme a noi, siamo rincuorati dall’audience e scoraggiati dal fonico.
L’esperienza e la professionalità di Annalisa si fanno sentire in questi casi, non è semplice suonare e soprattutto cantare in questi contesti e lei ha retto in modo impeccabile.
6 e 7 dicembvre dicembre – Xiamen
Atterriamo a Xiamen (pronuncia in italiano “Sciamàn”), si tratta di un’isola, e già l’impatto è diversissimo rispetto alle altre città: un posto di mare, pieno di palme, una sorta di Palm-beach cinese, il primo autista sorridente.
La location del concerto è piccina, in quanto il palco grande è in allestimento, tuttavia mi rendo subito conto che il fonico sapeva il fatto suo. Alle pareti tante foto di jazzisti e copertine dei vinili, l’atmosfera mi ricorda i piccoli circoli jazz americani, sento già che stasera sarà un bel concerto, e difatti non mi sbaglio.
A fine concerto i fans sono calorosissimi, tanti autografi e tante foto, qui la gente parla inglese discretamente, “ridente” è l’aggettivo che meglio si presterebbe, sembrano molto aperti (dipenderà dal fatto che siamo su un’isola?). Mi accorgo mentre suoniamo che c’è chi conosce le nostre canzoni, questo crescendo di attenzione inizia a rincuorarci.
Ci porta a cena la fotografa del club, la simpaticissima May, che ci parla delle specialità della città: pesce! Assaggiamo un piatto di vongole veraci, sono cotte con salsa di soia e zenzero, semplicemente deliziose. Assieme ad una sorta di spigola al forno, fitta di peperoncini e cetrioli, non credevo che avrei mangiato del pesce così buono a decine di migliaia di kilometri da casa.
Il giorno dopo è il nostro unico day off! Devo usarlo al meglio poiché siamo già stremati, ma so che questa volta farò come i musicisti in tour che vedono solo aeroporti, hotel e palchi. Ho sempre criticato questo modo di agire, affermando che il bello di suonare all’estero è soprattutto l’opportunità di vedere cose nuove, visitare musei, fare esperienze in nuove città, ma stavolta sarò costretto a pensarla diversamente.
Xiamen ha una bellissima strada pedonale, una sorta di Via del Corso, è la via dello shopping, tra le cose più assurde tante ostriche giganti da cui estraggono delle perle economiche.
Per pranzo street food: un calamaro gigante buonissimo e un piatto taiwanese di cui sento ancora il sapore in bocca: frutti di mare sgusciati, uovo e verdure… una prelibatezza!
La sera Mei ci accompagna sul mare, anzi sull’oceano pacifico. Di fronte a noi c’è un ponte gigantesco illuminato, non dà affatto l’impressione di ecomostro, sembra piuttosto un immenso girocollo luminoso. Mi rendo conto che c’è una bella armonia col nostro tour manager e con la nostra fotografa di Xiamen, e – soprattutto – per la prima volta in questo paese siamo rilassati!
8 dicembre – Guangzhou
Da una semplice annusata mi rendo conto che siamo in una città importante, sembra di stare a Manhattan, la strada urbana ha ben 5 corsie per lato, più la corsia riservata alle bici, i grattacieli sono innumerevoli e alcuni veramente belli.
La Livehouse di Ghuangzhou è forse il posto più grande in cui abbiamo suonato fin ora, anche se Aaron mi dice che ce ne saranno di più grandi ancora. Sono un po’ preoccupato, in quanto anche a questo concerto ci sarà un biglietto di ingresso (circa 15 euro), mi chiedo se verrà abbastanza gente, visto che per riempire questo posto ci vorrebbero almeno 200 persone. Mi chiedo quanto pubblico avrebbe un gruppo cinese underground in Italia a quel prezzo, e invece qui ci sarà una grande sorpresa. D’altronde non
me ne rendo conto, ma le città sono a 2/3000 kilometri di distanza l’una dall’altra, è come suonare in 9 paesi europei diversi, e quindi anche il feedback del pubblico è diverso.
Durante i ricchi 45 minuti di pausa in albergo prima del concerto (tra doccia e preparazione ero riuscito a ricavarmi ben 12 minuti di riposo!) mi contatta un certo Mattia, presentatore italiano di una trasmissione cinese, pare sia piuttosto noto in Cina, si dice disposto ad introdurci al pubblico (in cinese) ed io ovviamente lo ringrazio ed accetto.
Il locale è pieno di gente, già dall’esecuzione dei primi brani mi rendo conto che molte di queste persone sono lì solo per noi, e la cosa ci dà tanta energia, vediamo tra il pubblico persone che cantano insieme a noi testi come “Cantastorie” o “Arpe di vento”, tutto avrei creduto tranne che un giorno avrei suonato in Cina con tanta gente che ci conosceva.
A fine concerto la fila per acquistare i dischi e chiedere gli autografi è davvero lunga e consistente, è stato quello che in Italia definiremo un “concertone”. La cosa che più mi ha emozionato è stato un fan che aveva portato con sé tutti i nostri dischi per farseli autografare, ma quando dico tutti intendo anche le ristampe e le edizioni limitate, roba che io non ho più.
La cosa incredibile di questo concerto è che dall’incontro col pubblico è venuto fuori quanta vicinanza ci sia, mi ha sempre commosso vedere il riscontro del proprio lavoro, è questo in fondo che mi ha sempre spinto ad andare avanti.
9 dicembre – Chengdu
Arriviamo ad un lussuoso albergo in centro, incredibile quanto vari siano stati i posti in cui abbiamo dormito e quelli in cui abbiamo suonato, idem per fonico e pubblico. Sembra quasi che ogni giorno sia il giorno di un tour differente.
Ci ritroviamo a suonare in un altro piccolo club, ma colmo di appassionati di musica.
Nei locali adibiti a musica (il nome inglese è quasi sempre lo stesso, “Livehouse”, accompagnato dal nome della città) il fumo è quasi sempre tollerato, il biglietto medio è tra i 10 e i 15 euro.
Credo che il popolo cinese abbia un forte senso del sapersi fare da parte, lo noto a fine concerto, quando la folla si sa sempre gestire, e le persone accettano il fatto di essere un piccolo elemento tra un’infinita moltitudine. Nessuno vuole rubare tempo a nessuno, tutti sanno farsi da parte a tempo debito, forse dipende dal fatto che in quinto della popolazione mondiale risiede in Cina. Il nostro tour manager non è mai stanco, lavora incessantemente, anche quando abbiamo 45 minuti in albergo lui prenota autisti, voli, treni e hotel per il giorno successivo.
10 dicembre – Tianjin
La sosta in aeroporto è molto lunga a causa di un ritardo, il che comporterà una corsa frenetica al sound check direttamente dall’aeroporto di Tianjin, dove siamo diretti. Due giorni prima la mia attenzione era stata richiamata da un massaggio ai piedi che avevo visto in un negozio per le strade di Nanjing, Aaron mi propone di provarlo, visto che c’è tempo, è quasi strano a dirlo! Io sono molto incuriosito e immagino che con lo stress che ho accumulato un massaggio sia quanto di meglio per rilassarsi.
Arriva un ragazzo molto magro con una bacinella di acqua calda, diciamo bollente, in cui provo a tenere i piedi con scarsa resistenza.
Inizia il massaggio, tutto ho provato tranne che rilassamento, il solletico era al limite, e l’ilarità incontrollabile, Annalisa ed Aaron mi prendono in giro, il povero massaggiatore non sa cosa pensare visti i miei scatti e le mie risate. Gli faccio spiegare che sono mortificato e che è la mia prima volta, e sarà anche l’ultima.
Arriviamo a Tianjin, la città ha l’aria inospitale di Chang Sha, ci spiega Aaron che stasera suoneremo sul palco più grande del tour, anche se si tratta di un posto di recente apertura, in pochi lo conoscono, quindi a questi concerti solitamente c’è poca gente.
Il palco in effetti è mastodontico, le luci bellissime e il pubblico numericamente scarso, sono molto soddisfatto della nostra performance qui. A fine concerto un fan molto accanito mi spiega che per raggiungere la location si è fatto un ora di treno e ha impiegato tantissimo tempo per cercarla, poiché non se ne ha notizia in rete. Lui ci ascolta da due anni ed è emozionatissimo nel parlare con noi.
Il mio cuore in tutto ciò inizia a protestare, gli alti ritmi del lavoro cinese non fanno per me, sento i battiti molto presenti e a dir poco accelerati. Per fortuna in albergo c’è una bella vasca, Aaron ordina cibo in hotel… il modo migliore per concludere la serata.
11 dicembre – Beijing
Si torna a Pechino, e soprattutto, senza aerei! Siamo a un’ora di alta velocità su rotaie, ottima storia. La stazione ferroviara di Tianjing è circa 4 volte più grande della stazione Termini a Roma, di fronte c’è uno spiazzo in cui gli alti grattacieli fanno ancora pensare agli Stati Uniti, è come se la Cina si fosse costruita la sua America dentro di sé.
Ho grandi aspettative per il concerto di Pechino, mi aspetto tanto, e invece sarà il concerto nella location meno adatta di tutto il tour.
Si tratta di un locale per la classe benestante di Pechino, luci soffuse, cucina in stile occidentale, e un poster di dimensioni imbarazzanti con la mia foto. Già dal sound check sento puzza di “bagaria” come diciamo a Napoli tra musicisti (bagaria: situazione non professionale), i suoni sono pessimi, il fonico scarso, e soprattutto: ci abbandona subito dopo il sound check con un ironico “bye, bye, good luck”. E noi realizziamo qualcosa di veramente agghiacciante: durante il concerto non ci sarà nessuno dietro al Mixer.
Arriva il pubblico, e subito mi sembra di poter distinguere chiaramente le persone venute per noi dai clienti abituali di questo posto (benestanti che poco hanno a che fare con la musica). Il nostro pubblico si schiera a sinistra della piccola platea, uniti contro la diversità del luogo. Il problema è che prima di noi c’è stato un sorta di dj set e la dj ha manipolato tutto sul mixer, rendendo vano il nostro sound check, e come ho già detto, dietro al mixer nessuno. Annalisa riesce a cantare in condizioni a dir poco inaccettabili per qualsiasi cantante, anche io combatto bene fino alla fine, ma siamo stremati e nervosi. Mi sfogo con Aaron, lui è veramente dispiaciuto, ma non sapeva a cosa saremmo andati incontro. I nostri fan ci dicono che non avrebbero mai messo piede in quel posto e lo hanno fatto solo per noi, un minimo di conforto dopo una serata musicalmente poco piacevole.
12 dicembre Suzhou
Oggi è la giornata più dura, per quel che riguarda i trasporti: ci tocca prendere sia l’aereo che il treno veloce.
Arriviamo in albergo a dire poco stremati e ciò che maggiormente temiamo è la situazione tecnica, poiché sappiamo che la tipologia di club in cui suoneremo è la stessa di Pechino (una sorta di Club-franchising che si trova in diverse città).
Come sempre accade, aspettative ribaltate; qui c’è un fonico residente e facciamo il sound check più rapido ed efficace di tutto il tour. Il suono è ottimo, ora speriamo in un pubblico diverso da ieri.
Iniziano ad arrivare i primi fan, ci portano in dono delle caramelle locali, una sorta di torrone dal sapore agrodolce.
Una ragazza ci parla addirittura in Italiano, Huang, ha una forte passione per l’Italia e conosce la lingua più che bene.
Lo zoccolo duro di fans si fa sentire anche qui a Chengdu, riusciamo quindi a contrastare il rumore di giocatori di dadi che affollano la sala.
Anche stasera le persone che erano venute per noi sono attonite dalla “scelta” del posto in cui farci suonare, pare che anche qui in Cina Pop e Neofolk non vadano d’accordo.
Questa spaccatura netta tra generi, questo credere in un genere come fosse un pensiero politico, una filosofia di vita, mi ha tanto ricordato i miei amati anni ’90, tempi in cui ascoltare un certo tipo di musica era anche sintomatico di un pensiero diverso.
Ascoltare musica anti mainstream, voleva anche dire essere appassionati di letteratura, di cultura medievale… e tutto sommato se una band di cui ero fan avesse suonato in un locale per poppettari della Napoli bene in cui la musica non è mai entrata in fondo avrei avuto la stessa reazione.
Oggi in Italia sembra tutto più osmotico, i confini sono più labili. Se da un lato questo è segno di apertura, dall’altro torna un po’ come una sorta di qualunquismo culturale che ci fa sentire ignavi e senza scelta di carattere.
Dopo il concerto ci invitano ad ascoltare una cover band locale in un locale lì vicino, noto che i cinesi applaudono in modo flemmatico, allorché, chiedo come mai lì gli applausi non siano rumorosi come in occidente, all’inizio la cosa mi aveva quasi fatto pensar male ai nostri concerti, invece mi dicono che è sempre così. Diversa cultura anche in quello, non è segno di mancato gradimento, anzi.
Tra le cover rock dei Queen, Led Zeppelin e Deep Purple anche qualcosa dei Metallica e addirittura qualche brano di rock cinese a me sconosciuto.
13 dicembre Shanghai
Compensiamo la sfacchinata di ieri con una giornata di “solo” mezz’ora di treno veloce. In hotel stavolta Abbiamo ben 6 ore, un vero e proprio lusso rispetto alle micragnose manciate di minuti del solito.
Aaron ci spiega che stasera abbiamo tra i concerti più importanti del tour, ci saranno circa 200 persone e saranno lì solo per noi.
Arriviamo alla location e in effetti non delude affatto le aspettative, il centro culturale di Shanghai ha una sala concerti meravigliosa con delle luci spaziali.
Subito dopo il soundcheck ci chiudiamo in camerino e quando saliamo sul palco siamo davvero sorpresi nel vedere la sala totalmente gremita di gente. Stavolta il pubblico è di un entusiasmo incredibile, ci gridano tante frasi lusinghiere dalla platea, noi stavolta siamo davvero emozionati oltre che stanchi, ma diamo il nostro meglio anche in quest’ultimo concerto di questo tour massacrante.
A fine serata incontriamo le persone, qui la comunità di fan del neofolk è assai nutrita, anche stavolta alcuni fans ci dicono di aver saputo dei concerti di Pechino e Chengdu in quel franchising di locali in cui non sarebbero mai andati, anche loro ci chiedono spiegazioni, noi gli facciamo notare che è la prima volta che mettiamo piede in Cina e che tutto avremmo potuto aspettarci tranne che questo tipo di problematiche.
Tuttavia questa coscienza di classe musicale torna ad affascinarmi, spero che torni questo senso di appartenenza e di identità anche in Italia, dove la gente gioca a pensarla in tanti modi diversi ogni giorno, senza scegliere.
Il giorno dopo dall’autostrada intravedo una piattaforma che somiglia ad un binario, ma senza binari veri e propri, mi chiedo cosa possa essere. Dopo pochi secondi vedo che la piattaforma viene attraversata da una vera e propria saetta, non ho mai visto un treno correre in quel modo, il nostro autista ci spiega che si tratta del Shanghai Transrapid Maglev, uno dei treni più veloci al mondo, arriva a sfiorare i 500 km orari.
Lascio la Cina con questo retrogusto di contrasto: un treno che corre e sotto le case dei contadini, grattacieli vertiginosi e sotto le case dei poveri di città. Mi sento stanco e provato come “Zampa di Giaguaro”, il protagonista di Apocalypto, che torna da una mini odissea mentre sta per diventare padre. A differenza di Zampa di Giaguaro sono carico di felicità, grato ad Annalisa e a tutti i fans cinesi e ho già un pizzico di mancanza per questa cultura così diversa, ma incredibilmente bella.
Riccardo Prencipe