Se cercavate un disco facile per riempire i vuoti nel sabato pomeriggio questo disco non fa per voi.
Se cercavate un disco dai ritornelli orecchiabili da canticchiare sotto la doccia questo disco non fa per voi.
Se amate riempirvi le orecchie con musica usa e getta forse è giunta l’ora di cambiare gusti. Non trovate?
Chimera non è solo un disco, sarebbe riduttivo chiamarlo così. E’ un concept album che abbraccia, oltre alla musica, le arti visive, con mostre itineranti che toccheranno 10 città diverse tra cui Treviso, Marsiglia, Berlino fino ad arrivare a Pechino per la Biennale Cina-Italia. Si consacra poi in un cortometraggio che, unito alle suggestioni descritte nel disco, darà vita e corpo ai mostri protagonisti delle installazioni ideate e create da Alessandro Zannier, artista poliedrico trevigiano che ha dato luce nel 2003 all’ambizioso progetto Ottodix.
Quinto album in studio, Chimera ha come sfondo la fine delle utopie e delle ideologie del XX secolo, un’istantanea contemporanea di un mondo in totale decadenza, dove la sonnolenza della società occidentale ha creato un vuoto culturale collettivo, responsabile di una perdita di valori e di idee e ha dato vita a movimenti di massa basati più sull’aggregazione passiva che su una vera coscienza idealistica.
Ascoltando i lavori precedenti come Robosapiens (2011) o Le Notti di Oz (2009) notiamo da subito atmosfere nuove e sperimentali, più ricche di fiati e archi da orchestra, con arrangiamenti e suoni che vogliono ripercorrere ambientazioni più vicine ai primi del ‘900 non abbandonando comunque una chiara impronta elettronica, curata in maniera impeccabile sia nell’esecuzione che nei suoni, che non danno mai la percezione di già sentito o inflazionato. Si rimane piacevolmente
sorpresi dalla struttura dei brani, che a un primo ascolto stravolgono e inibiscono ogni previsione sull’evoluzione dei pezzi, niente pare dirigersi verso qualcosa di noto o scontato come se il tutto fosse pianificato con l’intento di scuotere l’ascoltatore evitando il classico ascolto di sottofondo che si ha di solito con i dischi in cui il suonato volge sempre alla medesima struttura e conclusione. Questo si ha però senza stravolgimenti forzati, senza strattoni o vicoli ciechi, non si sta ascoltando un progetto progressive dove il cambiare è necessariamente collegato a un inutile virtuosismo, nulla sembra difficile qui, è tutto naturale, tutto fila, eppure ogni pezzo è una sorpresa. Post, primo singolo estratto, è la sintesi dell’album.
Accattivante, con momenti di pura elettronica, dove il cantato ha il grande compito di rompere il ghiaccio, di subentrare con testi che per i contenuti potrebbero risultare fin troppo pesanti per un piglio prettamente pop, e che forse sarebbero quasi più consoni a un cantautorato da “paglia” e chitarra acustica, ma qui paiono leggeri, con metriche che scivolano e non risultano ingarbugliate.
15 track, di cui quattro strumentali (Chimere in avvicinamento, Golgonda, Gli archivi di Tesla, Stormi di uomini volanti) a scandirne quasi i momenti, per un ascolto facile ma allo stesso tempo mai banale. Bellissime le ambientazioni di Apocalisse, che, pare impossibile da pensare, ma uniscono in poco più di 5 minuti mood in stile Era-Enigma a ritmi elettronici più incalzanti riconducibili a Subsonica (per rimanere nel vecchio stivale) e un cantato soffice e arioso da tormentone radiofonico, ed è davvero incredibile la facilità con cui questi diversi registri si alternino senza deficitarne l’ascolto. Mi pare ingiusto non soffermarmi su ogni brano di “Chimera”, ma raccontarne le trame e rovinare il gusto della sorpresa non è altrettanto corretto, anche se non posso evitare di definire King Kong il pezzo più prezioso del disco. Sarà forse la sezione ritmica più quadrata, il suo modo di essere più ballabile rispetto agli altri, o forse la voce con un registro più votato alla teatralità che non alla melodicità, ma è sicuramente dopo Post la traccia più di impatto dell’intero disco.
Mi sarebbe piaciuto vedere questo disco solcare ben altri palcoscenici,e mi conforta il fatto che, anche se nel panorama italiano ci sono davvero pochi spunti su cui soffermarsi, gli Ottodix con questo album siano riusciti a dare una risposta a chi si chiede se la musica italiana sia al tramonto: La luce oramai è sempre più fioca, ma di bagliori ce ne sono ancora, e sono veri, anche se si chiamano Chimera.